Il rischio maggiore è la variazione climatica
Di Carlo Pelanda (19-4-2010)
Le  prime stime delle perdite economiche create dalla nuvola di ceneri vulcaniche  sull’Europa indicano un danno giornaliero attorno ai 600/700 milioni di euri. Il  blocco dei voli toglie introiti alle compagnie aeree ed alle aziende  turistiche, le aziende che trasportano merci per via aerea non possono  consegnare, ecc. Se tale situazione durasse solo qualche giorno, il danno  sarebbe assorbibile senza  grossi  problemi sistemici. Ma se continuasse per settimane vi sarebbero grossi  problemi sul piano dell’economia globale. La durata dell’emergenza (per lo più  ora concentrata nell’area europea) non è ancora prevedibile in quanto non sono  precisabili due sue cause: (a) il tempo di dissoluzione della nube di ceneri che  può rovinare i motori aerei; (b) la durata dell’eruzione del vulcano islandese  che alimenta la nube. Proprio il secondo fatto e l’entità del fenomeno in atto  consigliano di  riaprire i libri di  storia dove si trova che le eruzioni  vulcaniche sono tra quei fattori ecologici con la maggiore capacità di  provocare mutamenti repentini nei sistemi umani. Nessun allarme, ma è utile un  ripasso.  
  Il  pericolo sistemico di una megaeruzione vulcanica consiste nella nuvola di  ceneri/aerosol che filtra i raggi solari e riduce l’irradiazione generando  crisi ambientali. Proprio ad un vulcano islandese, l’Hekla, gli storici  imputano il grande sconquasso del 1.100 AC che fece finire molti imperi  dell’Età del bronzo e indusse grandi migrazioni, tra cui quella degli  indoeuropei in Italia e dei Dori nell’area micenea. Nel 1783 l’eruzione del  vulcano, sempre islandese, Laki provocò una crisi dell’agricoltura in Europa e  parecchi sostengono che ciò fu un fattore della Rivoluzione francese del 1789.  L’eruzione del vulcano Tambora, Indonesia, nel 1815 provocò, nel 1816, “l’anno  senza estate” (quindi con raccolti falcidiati) in Europa ed America, spingendo  le migrazione verso ovest nella seconda. Il Krakatoa, Indonesia, nel 1883  immesse circa 17 milioni di tonnellate di anidride solforosa nell’atmosfera che  riducendo l’irradiazione solare fecero calare di 0,6 gradi la temperatura media  dell’emisfero boreale  con conseguenze  rilevanti per l’economia agricola. In sintesi, la storia ci insegna che le  eruzioni vulcaniche possono creare mutamenti climatici catastrofici. Non sembra  che i fenomeni correnti abbiano la scala per una crisi ambientale planetaria,  ma va fatto il pensiero: che cosa facciamo se succede? Alcuni commentatori, nei  giorni scorsi, hanno filosofeggiato che contro la Natura possiamo fare ben  poco. Altri che la scienza non riesce a prevedere i fenomeni complessi. Ambedue  le considerazioni hanno senso se viste in assoluto. Ma in termini relativi,  cioè per fenomeni che non distruggono il pianeta intero, scienza e tecnologia  sono in grado di indicare le misure  per  mantenere funzionante una società e la sua economia anche in fase di  catastrofi  medio-grandi. Un “inverno  vulcanico” che durasse un decennio potrebbe essere affrontato aumentando la  creazione di ambienti artificiali e dell’energia. Per esempio, in questo caso  la prevenzione è quella di avere pronta un’enorme potenziale energetico,  possibile solo con l’adozione estesa di impianti nucleari. Ciò serve a dire che  sono sbagliati sia la rimozione psicologica dei grandi rischi sia il  catastrofismo. E’ giusto, invece, preparare le soluzioni tecnologiche ed  organizzative per ogni evenienza, magari aggiungendo una preghierina che costa  poco e comunque può essere utile.   
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