Il difficile bilanciamento tra rigore e crescita
Di Carlo Pelanda (17-5-2010)
Per ricostruire la  fiducia del mercato sulla stabilità prospettica dell’euro, ora in caduta, gli  Stati dell’area monetaria devono dimostrare la   loro capacità di ripagare il debito pubblico.
  Il primo passo per farlo è quello di non fare  più deficit annui, o ridurli ad un minimo, in quanto per rendere credibile la  ripagabilità di un debito bisogna non aumentarlo. La Grecia, da sola, non è in  grado di ripagarlo né di rifinanziarlo. Ma se l’Eurozona sarà valutata stabile  grazie al raggiungimento del pareggio dei bilanci pubblici nazionali,  allora  il mercato riterrà credibile che  il sistema europeo potrà assorbire ed evitare l’insolvenza di Atene. Inoltre,  la tendenza al pareggio di bilancio risolverà il problema principale di sfiducia  innescato dal caso greco: tutte le nazioni dell’eurozona sono a debito  crescente ed a crescita del Pil piatta o poca. Tale dato aumenta il rischio di  insolvenza non solo dei paesi ad economia debole e disordinata (Grecia),  ordinata, ma debole (Spagna, Portogallo), ma anche di quelli ad economia forte,  ma disordinata (Italia) e, alla fine, forte ed ordinata (Francia, Germania), ma  non così forte da compensare con elevata crescita gli enormi costi dei loro  sistemi di welfare. In sintesi, “tutti” gli Stati dell’eurozona, e non solo  alcuni, devono raggiungere il pareggio di bilancio, eliminando i deficit annui,  per sostenere la credibilità dell’euro e del debito eurodenominato. Ma tale  priorità, pur assoluta, ha un impatto pesantissimo a breve termine sul piano  della crescita. I denari pubblici tagliati sono comunque soldi in meno nel  ciclo economico nazionale. Da un lato è bene perché così non cresce il debito.  Ma è male, nell’immediato, perché ci sono meno risorse per i consumi e per  certe categorie di investimenti. Il taglio del deficit pubblico implica,  tipicamente, un elevato rischio di deflazione. La Spagna, per esempio, ci è già  entrata per sgonfiamento della bolla immobiliare e rischia di subirne di più  per il taglio necessario alla spesa pubblica. In generale, il pericolo è che  un’azione troppo forte di rigore comporti una recessione/stagnazione seguita da  un impoverimento tangibile di una parte del sistema sociale, motivo di rivolte  e conflitti. Pertanto una componente della politica per ridare credibilità  all’euro riguarda l’individuazione di misure finalizzate a stimolare la  crescita nel mentre si taglia spesa. Se ciò non succedesse l’euro verrebbe  destabilizzato dalle fiamme nelle strade d’Europa. Tremonti, per esempio, ha  accelerato quelle “a costo zero” che riguardano un modo più fluido per far  arrivare più capitali alle imprese. Monti, sul Corriere della Sera di domenica,  ha esortato ad accelerare la formazione di un vero mercato unico  europeo come leva di crescita per tutti. Ha  perfettamente ragione, ma i tempi di resa di tale azione saranno molto più  lunghi di quelli di impatto. Così come senza tagliar le tasse e aumentare la  produttività via più concorrenza,  altre  misure di stimolo rendono lento il volano della crescita stessa. Ma gli Stati  non sono pronti a tagliare la spesa a livelli tali da permettere anche la  detassazione ed allo stesso tempo modificare il modello economico togliendo  assistenzialismi e vincoli protezionistici. Pertanto lo scenario è che il  rigore non verrà compensato da più crescita. Non resterà altro che pilotare  l’euro verso una svalutazione competitiva temporanea per permettere alle  economie forti di esportare di più, trainare quelle deboli, e così bilanciare  la deflazione nell’Eurozona. Ciò provocherà instabilità nel mercato globale, ma  è l’unica vera opzione disponibile a breve. Infatti così sarà. 
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