Confindustria preme ma il governo rimanda
Di Carlo Pelanda (12-4-2010)
Il  mondo delle imprese, integrato dalla convergenza di parte di quello sindacale,  preme come non mai sul Governo per una riduzione delle tasse per favorire  crescita ed occupazione. Chiede, cioè, che una parte di capitale venga tornato  dallo Stato al mercato per ottenere più investimenti e consumi. Più altre  misure, quali il favorire la concorrenza che è un modo per ridurre i costi  sistemici, la semplificazione burocratica, l’impiego di più capitali pubblici  per investimenti produttivi – infrastrutture, ricerca, ecc. – e meno per spesa  assistenziale ed improduttiva. Ma la “piattaforma di Parma” proposta con  notevole forza emotiva da Confindustria al governo si concentra, in sostanza,  sulla riduzione urgente delle tasse. Avrà effetto?  
  La  risposta di Berlusconi, dal palco di Parma, è stata realistica, ma deludente.  In sostanza, ha detto:  il governo  non ha poteri sufficienti per fare queste  riforme, aiutatemi a rafforzarli e, dopo, ve le darò. In effetti questo è un  problema reale. Il potere esecutivo in Italia è stato disegnato, dalla  Costituzione, con la priorità di bilanciarlo più che di farlo funzionare. Un  ministro o un partito della coalizione di maggioranza ha un grado di libertà tale  da poter bloccare l’iniziativa del leader nonostante questi sia eletto con voto  di fatto diretto. C’è uno scarto tra responsabilità data dal consenso ed  effettivo potere di governo. Per questo Berlusconi insiste nel mettere in  priorità le riforme istituzionali, cioè di maggior potere all’esecutivo, allo scopo  di avere lo strumento per modificare il modello economico. Ma questo progetto,  qualora passi ed è cosa incerta visti i precedenti, ha tempi tecnici piuttosto  lunghi. Potrebbe Berlusconi modificare le priorità e chiamare, intanto, un  pacchetto di pre-riforme urgenti che riducano almeno di un po’ la spesa  pubblica inutile in modo  da ridurre  di qualche punto le tasse e fra respirare  l’economia? Pare di no vista la sua enfasi, appunto, sulla mancanza di poteri e  l’annuncio di avviare la riforme entro tre anni, cioè dopodomani e non domani.  Scenario “lungo” confermato da Tremonti che non si è impegnato a ridurre le  tasse, ma solo a razionalizzarle. Con questo tipo di linguaggio Tremonti  comunica che la situazione del debito non permette riduzioni di tasse che  rischierebbero di aumentarlo portando l’Italia in una situazione “greca”,  catastrofica. Comunica, in sintesi, la priorità del rigore e differisce la  riduzione delle tasse alla realizzazione del federalismo fiscale. Ma questo è  neutrale in relazione ai carichi fiscali. Se parte delle tasse verranno pagate  alle Regioni e Comuni, ma il carico complessivo resterà inalterato, che  beneficio vi sarà per cittadini e sistema? Si può prevedere che le Regioni e  Comuni taglieranno le loro spese per ridurre le tasse di loro competenza? E’  scenario non ancora specificato e, al momento, remoto. In sintesi, si può  commentare che al momento la politica risponde “picche” alle richieste urgenti  delle forze produttive, dicendo loro che bisogna aspettare più poteri esecutivi  e che passi l’emergenza del debito. Risponde, in sostanza, che le cose  resteranno così certamente per un biennio e che dovremo essere contenti se non  ci alzeranno le tasse, nell’attesa pacati dalla speranza di un futuro e mitico  federalismo fiscale risolutore. Decida il lettore se sia realismo o immobilismo  , chi scrive più propenso ad imputare la politica del secondo e pertanto ad  invocare più pressione per smuoverla da parte del popolo produttivo.