E’ ora di imitare il modello americano
  
 
  
  
  Di Carlo Pelanda (28-2-2005)
  
  
   
  
  
  
   
  
  
  L’economia statunitense nel 2004 è riuscita a crescere più del
  doppio di quella dell’eurozona. E, in base ai dati preliminari di tendenza,
  promette di farlo anche nel 2005, sul 4% contro meno del 2 da noi. Cosa per
  altro non nuova perché dai primi anni ’90 tale differenziale di crescita è
  costantemente, più o meno, lo stesso. A questo punto sarebbe sciocco non
  chiedersi seriamente perché l’America vada due volte meglio dell’eurosistema e
  come mai due società piuttosto simili e con la medesima sia base antropologica
  sia maturità storica, Europa ed Usa, abbiano prestazioni economiche così
  diverse. Il chiederselo non è tanto finalizzato a dettagliare un paragone umiliante,
  ma all’indagare se possiamo copiare qualcosa da un modello che nella realtà
  mostra di avere più successo. Copiare per fare meglio, in tali casi, non è
  male, ma realismo. Inoltre, se la base di modello è buona poi la si può
  migliorare, ma se è sbagliata, no. E questo è il problema attuale del modello
  statalista  in Francia, Germania e -
  meno - Italia.
  
  Cosa ha finora impedito da noi una valutazione ed un ragionamento
  del genere? L’idea che il modello americano vada così bene perché sfrutta i
  lavoratori comprimendoli in una situazione di povertà. Va detto, con una
  franchezza corroborata dai dati, che una disoccupazione in America che oscilla
  da anni sempre sotto il 6%  comparata ad
  una dell’eurozona che viaggia endemicamente tra il 9 ed il 10% - l’Italia è un
  eccezione con il suo rimarchevole 7,3 attuale – e che in Francia e Germania
  mostra di poter andare oltre, non sembra fatto che giustifichi l’imputazione di
  immoralità del modello statunitense. A tale affermazione alcuni ribattono che
  ciò che in Europa è disoccupazione, in America è in realtà “sotto-occupazione”,
  cioè il povero che trova un lavoro squalificato ed incerto che lo fa restare
  povero. Ma ciò è vero solo in minima parte (statistica) mentre si vede
  prevalere nei dati una migliore diffusione sociale della ricchezza negli Usa
  comparati all’eurozona. Quindi non si può dire che dobbiamo evitare il modello
  americano perché è cattivo, selettivo. Stabilito questo, qual è la più vistosa
  differenza di modello tra Usa e Paesi dell’eurozona? Non è vero che il primo
  non offra garanzie sociali come recita tanta pubblicistica frettolosa. Le offre
  in forma di garanzie indirette: il modello, cioè lo stile di governo che
  caratterizza sia la sinistra sia la destra quando prendono il potere,
  massimizza la creazione di nuove opportunità in modo tale che uno che perda il
  lavoro o lo cerchi per la prima volta abbia un’altissima probabilità di
  trovarne un altro, uno nuovo, uno migliore. Il welfare continentale, invece,
  massimizza le garanzie dirette: proteggo il tuo lavoro corrente, ma al costo di
  ridurre le opportunità. E, appunto, l’analisi spietata dei dati reali mostra
  che quello americano funziona mentre quello europeo-continentale no. Quindi
  bisognerà cominciare a copiare il primo. Ma con varianti che possono ridurre i
  difetti del modello statunitense per ottenerne uno perfino migliore da noi. Un
  americano trova nel sistema più opportunità di un europeo, ma non risorse che
  aiutino tutti a coglierle, per esempio l’investimento educativo. Che in America
  dipende ancora troppo dalla ricchezza già posseduta dalla famiglia dando uno
  svantaggio iniziale ai più poveri. La variante di cultura europea potrebbe
  correggere questo difetto ed ottenere un capitalismo di massa ancora migliore.
  E così potrebbe succedere in molti settori. Ma il punto è decidere di
  abbandonare il nostro modello di socialità inefficiente ed inefficace per
  adottare quello di tipo americano e poi migliorarlo con la cultura europea.
Prima è, meglio sarà.  
  
  
  www.carlopelanda.com