L’euro sotto esame

 

Di Carlo Pelanda (20-6-2005)

 

 

 Chi scrive ha sostenuto, fin dal 19 96, che imporre la moneta unica alle nazioni europee prima che queste fossero s tate pronte avrebbe comportato il rischio di distorsi oni economiche talmente gravi da comportare il fallimento dell’euro. Inascoltato. Oggi, senza alcuna soddisfazione personale a parte quella scientifica di averci visto giusto, tale preoccupazione comincia a filtrare proprio dalla Banca centrale europea. Il vicepresidente della Bce, Papademos, ha infatti dichiarato venerdì scorso di temere che l’euro abbia danneggiato la crescita. Vuol dire che anche nella cattedrale dell’euro la moneta unica è sotto esame. Ed è giusto avvertire il lettore che  sempre più analisti h anno il dubbio che l’euro non possa essere sostenibile nel futuro. Cos&igr ave; come è giusto segnalare che l’anali si razionale vuole mettere sotto esame l’euro per capirne meglio i difet ti allo scopo di ripararli. Tale posizione si differenzia da altre due pratica te nel mondo politico: quella di imputare all’euro la causa principale dell’impoverimento, invocandone l’abbandono come soluzione ai m ali, e quella di continuare a dire che l’euro v a bene così pretendendo che non occorra cambiare alcunché. Sono posizioni sbagliate, giusta, invece, quella di buon senso: parlare apertame nte di quello che non va per correggerlo, senza estremismi eurolirici o euroantagonisti.                

 Cosa non va? Il problema principale è stato ben detto, tra gli altri, da Stephen Nickell, membro d el comitato per la politica economica della Banca d’Inghilterra (fuori dall’euro, ma osservatrice spassionata dell’euro perché deve valutare se entrarci o meno): “ i risultati delle ricerche hanno portato alla conclusione che uno degli effet ti dell’unione monetaria è l’indebolimento degli incentivi alle riforme strutturali nei Paesi membri più grandi”. Significa ch e il requisito di pareggio di bilancio imposto dalla moneta unica non permette a gli Stati di finanziare in deficit le riforme di eff icienza, per esempio la detassazione. In generale, l’euro è stato applicato a nazioni con modello economico inefficiente, prima che queste si riformassero, e poi ha impedito loro il cambiamento competitivo. Con questo si vuol segnalare che l’effetto impoverente dell’euro non è stato diretto, ma indiretto. Una nazione che voleva finanziare in deficit la detassazio ne o nuovi investimenti ha trovato il muro del Patt o di stabilità che glielo ha impedito. Per questo il requisito di rigore dei bilanci pubblici si è scontrato con quello di sviluppo. Ma andiamo più a fondo. I vincoli di bilancio s ono stati imposti perché mancava un governo economico europeo che modula sse in modo flessibile le esigenze delle singole nazioni. Quindi il problema na sce dal fatto di aver voluto fare una moneta unica senza un governo, almeno dell’economia, che lo fosse altrettanto. P er tale motivo l’euro si è rilevato un depressore – struttu rale - della crescita. Ma sarebbe possibile corregger e tale difetto? In teoria lo sarebbe: (a) concordare sul piano europeo per ogni nazione quanto deficit le serva per la riforma competitiva e lasciarglielo fare dietro garanzie condivise; (b) modificare lo statuto della Bce in modo da aggiungere alla sua missione di controllo dell’inflazione anche quella di stimolazione de lla crescita via mezzi più flessibili di politica monetaria. Tali misure basterebbero per ridurre l’impoverimento causato indirettamente dall’euro e con questo il dissenso antieuropeo rendendo sostenibile la moneta unica, sia tecnicamente sia politicamente. Ma, appunto, per farle ci vorrebbe un governo unitario dell’economia. Que sto è il punto politico, non l’euro di per sé.

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