La Turchia è un’opportunità
per il nordest
Di Carlo Pelanda (20-12-2004)
Il caso dell’inclusione della Turchia nella Ue va visto anche nei
suoi aspetti di “geopolitica economica” finora lasciati in ombra. Con tale
metro l’eventuale integrazione futura di Ankara promette un vantaggio per tutti
i Paesi europei, molto di più per quelli che si affacciano sul Mediterraneo
centrale ed orientale, in particolare l’Italia, e un po’ meno per quelli
centro-occidentali e nordici. Analizziamo questa ipotesi di scenario.
Prima di argomentarla devo riferire ai lettori un fatto fuori dal
normale che mi ha colpito. Pochi giorni fa il Veneto serenissimo governo – l’organizzazione
indipendentista che vuole essere custode e continuatrice della sovranità della
Repubblica di Venezia e che si segnalò al mondo con il famoso atto dimostrativo
di occupazione di Piazza San Marco, per altro punito con il carcere per i
militanti che lo fecero – mi ha chiesto un parere tecnico. Sintetizzo la
richiesta: “dai nostri calcoli vien fuori che l’inclusione della Turchia nel
sistema economico europeo potrebbe avere come effetto la ricostruzione dell’area
di mercato che vide Venezia al centro, e ne creò la ricchezza, tra il 1200 ed
il 1500: Mediterraneo orientale esteso all’Asia centrale ed all’area balcanica
e della Russia meridionale. Se nel futuro vi fosse una possibilità di
ripetizione, pur variata, di un tale sistema e fosse a vantaggio di Venezia –
intesa come Veneto più Friuli occidentale e Lombardia orientale - allora potremmo considerare, pur entro certe
condizioni, una nostra posizione favorevole alla Turchia, superando il
conflitto storico e modificando la linea di confine contro l’Islam dal quale
dobbiamo difenderci con esclusioni”. Non commento gli aspetti politici/simbolici,
ma sono rimasto molto sorpreso da come questa ipotesi trovi riscontro positivo nelle
simulazioni tecniche che tratto per mio mestiere di ricerca.
Gli scenari geoeconomici analizzano gli elementi spaziali dell’economia.
E – in base ad un noto modello elaborato da Wallerstein – cercano di individuare
il centro, la semiperiferia e la periferia di un’area di mercato. Dove la
teoria ipotizza che il territorio al centro possa godere di un vantaggio in
termini di ricchezza, decrescente verso semiperiferia e periferia. Per esempio,
l’Italia settentrionale era il centro del mercato globale del 1500 e poi questo
“migrò” a nord attratto dai poteri emergenti britannico, francese e olandese.
Il settentrione italiano divenne periferia impoverita anche perché Venezia, ai
primi del 1600, perse la sua centralità in un mercato mediterraneo non più
praticabile. Ora, nell’eurozona, il settentrione è una semiperiferia pur ben
agganciata al centro economico europeo (Germania, Francia nord-orientale) ed il
meridione italiano è una periferia depressa. Andiamo al punto dello scenario: una
Turchia (70 milioni di abitanti proiettati a 80 nel 2020) economicamente integrata
con l’Europa aumenterebbe il proprio sviluppo e questo creerebbe nuovi e più
flussi di scambio dall’Egitto fino alla Cina e a noi, generando un volano
economico nel Mediterraneo orientale. Ankara passerebbe da periferia a
semiperiferia, ma grazie ai nuovi flussi commerciali il nordest italiano e l’Italia
meridionale diventerebbero un centro geoconomico. Che si aggiungerebbe a quello
franco tedesco, ma limandone un po’ la forza attrattiva. In sintesi, l’inclusione
economica della Turchia creerebbe una nuovo spazio economico che unirebbe Paesi
a sviluppo rapidissimo perché ora poveri con quelli già semiricchi, facendo
diventare più ricchi e centrali i secondi. Pur qui dato per cenni, tale
scenario merita approfondimenti non emotivi perché si profila un’opportunità
notevole di nuova ricchezza per il semiperiferico nordest.