Crescita buona ma fragile
Di Carlo Pelanda (11-10-2004)
L’economia globale sta crescendo del 5%, quella media dell’eurozona ha iniziato l’anno con un tendenziale dell’1,3%, poi migliorato attorno all’1,7%. Gli osservatori si aspettano che nella prossima revisione periodica delle previsioni di andamento, a fine ottobre, si arrivi al 2%. Germania ed Italia hanno il mercato interno stagnante (consumi ed investimenti), ma mostrano una forte ripresa delle esportazioni, appunto, tirate dalla crescita globale. Francia e Spagna esportano molto meno, ma hanno una crescita del mercato interno, pur poca, maggiore dei primi due. Lo scenario migliore è che per Italia e Germania il volano economico delle esportazioni metta in moto gli investimenti interni, amplificando la crescita verso la fine dell’anno (ora prevista tra l’1,9% ed il 2,1%, quasi esattamente nella media europea). Mentre la continuazione dell’espansione globale dovrebbe aumentare di un po’ anche le esportazioni di Spagna e Francia e, indirettamente, il loro export intrauropeo. Il verificarsi di tale situazione sostiene la previsione, appunto, di una crescita media dell’eurozona sul 2%. Che, vista la piatta degli ultimi tre anni, non sarebbe poi così male anche se paragone vergognoso in relazione alla crescita del resto del pianeta. Possiamo confermare l’ipotesi di un fine 2004 ed inizio 2005 almeno dignitosi?
Non ancora. L’impennata del prezzo del petrolio – di fatto una
tassa che toglie denari ai consumi ed aumenta i costi di produzioni e servizi
- è più duratura di quanto gli scenari
stimassero fino a poco tempo fa. Se resta ancora qualche settimana sui 50
dollari al barile è quasi certo un colpo piuttosto duro, anche se non tragico,
all’economia statunitense. Quindi alla sua capacità di assorbire prodotti dalla
Cina e da noi. Se ciò accadesse la crescita globale rallenterebbe. La Germania
subirebbe il colpo più duro perché fa crescita solo con l’export, tutto il
resto fermo o perfino recessivo. L’Italia avrebbe una botta diretta un po’ meno
dura, ma subirebbe per induzione quella tedesca così come tutto il mercato
intraeuropeo. Niente di tragico, ma il prezzo del petrolio può farci iniziare
bene o male il 2005. Cosa che conferma la debolezza dei modelli politici
europei-continentali che, non riuscendo a riformarsi sul piano di una maggiore
efficienza economica, dipendono solo dall’esterno per la crescita. E quindi
sono esposti ai venti del globo. Tempesta? Probabilmente non catastrofica, ma
solo media. Perché il prezzo del petrolio sembra restare prospetticamente
elevato, ma non a livelli stellari. Inoltre, sta migliorando la capacità di
assorbirne i rialzi senza fare troppa inflazione. Infatti non pare questo il
pericolo principale. Lo è, invece, la probabilità crescente che il dollaro
scenda ancora. Perché l’America importa molto più di quello che esporta e tale
deficit commerciale sta aumentando oltre il doppio del livello che la dottrina
tecnica ritiene sostenibile. In particolare, un deficit commerciale viene
compensato da un flusso finanziario di ritorno. Ma i dollari non stanno
tornando verso l’America in misura sufficiente. Quindi il riequilibrio del
deficit detto implica il crollo del valore di cambio della moneta Usa. Cosa che
renderebbe meno competitive le esportazioni europee, riducendole. Non sarebbe
necessariamente un disastro. Ma potrebbe diventarlo se la Banca centrale
europea alzasse nei prossimi mesi i tassi dell’euro con l’effetto probabile,
nel frangente, di portare il rapporto di cambio tra euro e dollaro a livelli
insostenibili per qualsiasi nostro esportatore. Poiché sta valutando l’idea è
utile chiederle, con il dovuto rispetto, di studiare molto, ma molto, a fondo
il rischio detto prima di muovere i tassi.