La centralità economica
della famiglia
Di Carlo Pelanda (8-12-2003)
Nuove leggi che riguardano la famiglia: un incentivo finanziario a chi fa figli, il dibattito delicatissimo sulla regolazione della fecondazione assistita. Questi ed altri eventi segnalano un ritorno di attenzione della politica verso la famiglia intesa come luogo di riproduzione della società. Ma appaiono guidati da una logica erratica e non da una teoria strutturata. Ed è imbarazzante osservare che diamo tanto per scontata “la famiglia” da aver perso il senso della necessità di parlarne e, di conseguenza, di metterla al centro del dibattito della comunità. Peggio, le dottrine economiche e politiche prevalenti non incorporano o perfino negano il fatto che la famiglia sia, nella realtà, l’unità principale di un sistema economico. La teoria di ispirazione liberale – seguita da chi scrive - ne tiene conto solo “implicitamente”: invoca maggiore e sacrosanta libertà per i privati, ma senza specificare come tale libertà andrebbe organizzata. Le dottrine stataliste propongono di fatto la sostituzione della famiglia con un “servizio pubblico”. Per esempio, la filosofia statalista vede nella relazione diretta tra individuo ed agenzia statale o assimilabile la relazione centrale alla base della vita comunitaria. E taglia fuori la famiglia. In sintesi, i due rami dottrinari principali da cui si sviluppano i modi di governare da destra o da sinistra mostrano un orientamento che marginalizza la famiglia: nel pensiero liberale è solo un vuoto di specificazione (peccato veniale), in quello statalista è proprio un disegno per comprimere e sostituire la famiglia perché imputata di essere fonte di diseguaglianze (peccato mortale). Agli statalisti non so francamente cosa dire, se non il segnalare loro un errore monumentale. Ma ai portatori del liberalismo va detto che tale situazione di vuoto concettuale è imbarazzante sia sul piano scientifico sia su quello politico. Da qui la priorità di costruire un processo di ricerca che reinserisca la centralità della famiglia nelle dottrine tecniche e morali della libertà. Ed è un primo invito.
Il secondo riguarda le buone
letture. Da sempre un settore della ricerca antropologica propone la centralità
della famiglia e la individua come forza privata che è anche sociale: il
principio del “privato sociale” (Donati). Ma tale ramo di ricerche e proposte è
stato trattato, nei decenni scorsi, come un “terzo pensiero” minoritario o come
una parte della dottrina sociale della Chiesa, cosa a torto ritenuta rilevante
solo per chi milita nella fede cattolica. Penso di essere tra i primi
(neo)liberisti ad ammettere l’errore di non aver capito l’importanza di tale
approccio. E di non aver colto che quando la Chiesa invoca più sostegni e
spazio politico per la famiglia non la fa solo per propagandare la propria
visione religiosa, ma per ricordarci in modo laicissimo e generoso dove sta il
punto d’origine di tutto. Quindi prego i colleghi di ispirazione liberale di
riaprire i quaderni e di riempirli con una teoria più consapevole della
centralità della famiglia, per altro compatibile con il liberalismo sia
classico sia “neo” (e con il requisito di efficienza dell’economia tecnica).
Sul mio annoto: la famiglia è il luogo in cui il privato diventa sociale ed il
sociale si trasforma in privato. Da economista: è il luogo principale di
(ri)produzione del capitale nelle sue tre forme base: finanziario, sociale ed
intellettuale.
E sono sorprendenti le
conseguenze di questa semplice riflessione. Per esempio, la famiglia è un luogo
di “solidarietà naturale” cioè una “(micro)comunità di tutela”. Invece di
affidare ad una burocrazia statale il compito di fornire garanzie
standardizzate di massa si può potenziare la capacità economica delle famiglie
in modo tale da farle agire come “welfare naturale” più flessibile. Che
disintermedia (meno tasse e costi pubblici) quello “artificiale”. E che può
funzionare meglio. La famiglia aiuta il giovane a trovare un lavoro, lo
sostiene nel periodo in cui lo cambia, molto meglio di quanto lo Stato più
perfetto possa fare. Così come è la famiglia il vero luogo di garanzia per
l’anziano, molto più affidabile di qualsiasi servizio pubblico. Ovviamente lo
Stato deve essere pronto a sostituire le mancanze private di tutela. Ma una
cosa è l’apparato che serve (minimo e poco costoso) se le famiglie sono dotate
e capaci, un’altra (burocrazia mostruosa) è l’idea di tagliarle fuori comunque.
In sintesi, investi 10 nella capacità di una famiglia e risparmierai 100 sul
piano dei costi pubblici e, quindi, delle tasse. Poiché le garanzie sociali
sono un bene irrinunciabile della modernità, il problema annoso di come
renderle più efficienti può essere risolto facendole gestire più dalle
famiglie. Ovviamente riconoscendo loro tale ruolo di “privato sociale” con
incentivi, facilitazioni e servizi generali di supporto. Ma il capire cosa
serva esattamente per rendere la famiglia motore di “solidarietà efficiente”
implica tanta nuova ricerca. Per esempio, sarebbe utile istruire chi sta per
sposarsi al riguardo dei modi con cui operare per diventare miglior sistema di
tutela ed impulso per i propri cari? Oggi non lo si fa. Inoltre, se vogliamo
che la famiglia diventi un luogo di decisioni responsabili bisognerebbe darle
più libertà di scelta. La libertà e la varietà di opzioni chiama, appunto, più
responsabilità. Se devo mandare un figlio in una scuola che mi è imposta c’è
ben poco da discutere a casa. Se il sistema mi offre più alternative avrò il
motivo per studiarle, discutere con il coniuge, pensarci di più. Pensiamoci
tutti di più.