Scenario strategio

difficile caso cinese

Di Carlo Pelanda (8-3-2001)

 

Lo scenario asiatico il luogo pi critico nel processo di costruzione del nuovo ordine mondiale. Lincidente diplomatico tra Pechino e Washington, anche se in via di soluzione, ha come sfondo le nuove turbolenze create dallemergere prorompente del potere geopolitico e geoeconomico cinese. Cerchiamo di capirle.

Nel 1995 lufficio per il Net Assessment (scenari futuri) del Pentagono stabil che nel 2025 la Cina avrebbe avuto una scala economica e tecnologica tale da poter seriamente competere con la forza americana sul piano militare. Tale prospettiva pone agli Stati Uniti e ai loro alleati del G7 il problema di definire una nuova strategia nei confronti di Pechino. Le alternative sono tre: (a) confronto duro e contenimento (come nel caso della ex-URSS); (b) cooptazione nel consiglio di amministrazione planetario fortemente condizionata alla democratizzazione interna della Cina ed alla sua assunzione di comportamenti che diano fiducia; (c) cooptazione pi morbida, cio meno vincolata a condizioni.

Lamministrazione Clinton, dal 1992 al 2000, ha praticato la terza opzione, seguita a ruota dallUnione Europea. Tale scelta, pi che decisa, stata determinata dai fatti in essere. La Cina, con il suo miliardo e 250 milioni di abitanti, costituisce dellintero mercato globale ed la parte emergente a pi rapida crescita e modernizzazione. Un confronto duro con la Cina potrebbe avere conseguenze economiche dannose per tutto il sistema mondiale. E ci esclude comunque il ricorso alla prima opzione, permettendo una scelta solo tra le altre due. Sotto la pressione delle lobby occidentali con interessi industriali e finanziari nellarea cinese, dove le banche europee e le multinazionali americane sono molto esposte, la politica occidentale ha aperto la strada di cooptazione della Cina nelle istituzioni globali, tipo il Wto (Organizzazione mondiale del commercio), dettandole condizioni molto morbide e non mettendo nel pacchetto negoziale dei paletti utili a moderarne laggressivit espansiva: rinuncia alluso della forza contro Taiwan; limiti al riarmo; allespansione territoriale (per esempio loccupazione del Tibet). Tale approccio ha creato la sensazione che si fosse regalato troppo alla Cina e che le si fosse dato un messaggio sbagliato di eccessiva debolezza dellOccidente, come certamente avvenuto nel 1997 mollandole Hong Kong senza tutelare i diritti politici dei cinesi anglofoni dellex-colonia britannica.

Il regime di Pechino formalmente comunista, ma in realt le sue lite possono dirsi nazionaliste. Lelemento comunista mantenuto solo come strumento di controllo verticistico, autoritario (spesso violento e repressivo) e centralizzato per ordinare un territorio frammentato in centinaia di lingue diverse e pervaso da spinte separatiste di molte regioni. Infatti il Partito comunista cinese, che nel 1978 cominci una modernizzazione accelerata che oggi rende Shanghai pi piena di grattacieli (e smog) di quanto lo sia New York, ha stabilito nel suo Congresso del 1997 (e riaffermato recentemente) che il libero mercato la miglior via per realizzare gli obiettivi del socialismo. Tale formulazione, solo apparentemente sorprendente, vuol dire: vi diamo i soldi, in cambio non chiedeteci la democrazia. E tale dottrina emersa a Pechino a seguito dellanalisi del fallimento dellUnione Sovietica: economia sbagliata e troppa spesa militare. Questo pragmatismo ha impressionato positivamente sia gli investitori sia i governi occidentali che, dalla fine degli anni 80, hanno scommesso sullo sviluppo cinese, i secondi pompandolo con massicci investimenti. E li ha resi disponibili ad accettare le ragioni di Pechino: lasciateci fare una democratizzazione lenta perch se no ci destabilizziamo, riconoscete il nostro diritto storico alla dignit del riconoscimento di grande potenza e a riprenderci ci che ci hanno tolto gli europei durante il periodo coloniale. Ma dalla met degli anni 90 Pechino ha preso coscienza della sua forza emergente e della debolezza americana nel regolarla. Ci ha dato pi spazio al nazionalismo latente, rendendolo il collante principale del gruppo dirigente nominalmente comunista. In sintesi, oggi la Cina annusa la possibilit di poter sbattere fuori dal Pacifico gli americani, di prendere il dominio del teatro asiatico e grazie a questo condizionare il resto del mondo. Uno dei sintomi pi inquietanti di tale svolta espansiva lo si vede nei programmi militari. Ufficialmente Pechino resta ancorata alla dottrina della deterrenza minima, cio ad un arsenale nucleare nominale utile solo a farla riconoscere potere mondiale. In realt negli ultimi anni ha impostato, semisegretamente, un riarmo nucleare, spaziale, aereo e marittimo di entit tale da poter effettivamente annullare, probabilmente prima del 2025, la forza americana.

Di fatto lamministrazione Bush si trova a dover ribilanciare sul lato del bastone leccesso di carota finora usato nei confronti di Pechino, cio a dover praticare la seconda strategia detta sopra. Ma non sar facile. La pressione economica, se eccessiva, mander in crisi lo sviluppo cinese e con questo il resto del mercato globale. La pressione sul lato della democratizzazione, se portatrice di conflitti interni, rischia di creare una frammentazione del sistema cinese e, quindi, una crisi economica per altra via. Soprattutto, il pensiero strategico cinese ha un concetto del tempo molto diverso da quello occidentale: opera su tempi lunghissimi, sulle tendenze e non sugli eventi. Difficilissimo da inquadrare in una logica negoziale. In conclusione, capire il come domare la Cina sar il tema strategico e geoeconomico principale dei prossimi anni. Oggi possiamo augurarci solo che qualcuno lo sapr fare, in fretta e pacificamente.