Per il boom ci vuole unesplosione di ottimismo

 

Di Carlo Pelanda (4-6-2001)

 

Fazio, governatore della Banca dItalia, auspica, e quindi ritiene possibile, un prossimo boom delleconomia italiana. Ci, per il suo indiscusso prestigio tecnico, rende pi credibile la realizzazione della missione di riforma competitiva promessa da Berlusconi. Tale clima potrebbe indurre molti, tuttavia, a pensare che lItalia sia pronta per il decollo, che esista gi una situazione propulsiva in atto e che baster cambiare poche cose per volare. In realt lesatto contrario: bisogner cambiare tantissimo e la situazione di fondo nei prossimi mesi non favorevole. Perch, allora, il governatore ha voluto esprimere tanto ottimismo? Vediamo.

Prima dobbiamo capire lentit della crisi strutturale italiana. Gli andamenti dellultimo decennio mostrano che il Paese ha perduto progressivamente capacit competitiva sul piano industriale. Tale tendenza si accelerata dal 1996 in poi. Molte grandi imprese sono state chiuse (computer) o ridotte (costruzioni, aerei) o di fatto vendute a gruppi internazionali (auto). Quelle piccole non sono diventate pi grandi. Soprattutto, non se ne sono create di nuove nei settori tecnologici, manifatturieri e dei servizi, di nuova generazione. Tale deindustrializzazione strisciante stata causata da molti fattori, ma tutti riconducibili ad un modello politico che non ha favorito gli investimenti sulla competitivit industriale. I governi di centrosinistra che si sono succeduti dal 1992 in poi, a parte la parentesi del Berlusconi 1 nel 1994, hanno usato il metodo di risanare le disastrose finanze pubbliche devastate dalleccessivo indebitamento degli anni 80 alzando le tasse e riducendo quasi a zero la quota di denari fiscali indirizzata ad investimenti infrastrutturali e di sviluppo. Cos, per anni, il lavoro italiano stato usato per coprire i buchi del passato e per finanziare lassistenzialismo, non per capitalizzare il futuro e lattivismo imprenditoriale. Sfortuna ha voluto che proprio nel momento, a met degli anni 90, in cui scoppiata la globalizzazione ed una nuova forma di economia trainata come non mai dalla tecnologia ci siamo trovati governati da politici che teorizzavano la non necessit del cambiamento riformatore. I dati: crisi di competitivit (ultimi in tutte le classifiche tra i pesi avanzati), stagnazione endemica (siamo cresciuti la met degli altri europei a loro volta la met degli americani), diminuzione progressiva delle capacit di spesa delle famiglie, quasi zero investimenti, consumi piatti. Solo le tasse, il numero dei poveri totali e i costi dellassistenzialismo sono saliti. In sintesi, dieci anni di politica dominata direttamente ed indirettamente dalla logica di sinistra ha indebolito quasi mortalmente la struttura della ricchezza del paese. Per questo emergenza, sul serio.

Che non si pu sanare con piccole manovrine, ma ci vogliono cure da cavallo (il senso dei dati presentati da Fazio). Sintetizzabili in ununica grande mossa: trasferire pi capitali dal circuito statale finanziato con le tasse al mercato affinch il secondo crei nuove imprese e rafforzi la competitivit di quelle esistenti. La scommessa, che tra qualche giorno verr avviata da Tremonti, quella di ridurre le tasse ed ottenere un effetto di crescita talmente veloce da mantenere il gettito fiscale in equilibrio (meno tasse, ma pi volumi tassabili) in modo tale da non sbilanciare i conti pubblici e violare leuropatto di stabilit che ci obbliga al pareggio di bilancio. Stabilito che in tre-quattro anni le condizioni del Paese sono migliorabili senza grossi problemi, il punto critico riguarda la fase inziale dei prossimi mesi. Sar possibile un avvio riformatore accelerato?

A favore c il fatto che la piccola e media impresa italiana, pur colpita dagli andamenti detti sopra, ancora molto vitale. Anche se ancora parziale, la defiscalizzazione promette, in teoria, di aggiungere alla (poca) crescita in atto almeno un 2% di Pil in pi, in pochi mesi. Contro ci sono due fattori. Il ciclo economico globale sta per arrivare al suo momento pi basso sia in America sia in Europa e nella seconda si protrarr, nel migliore dei casi, fino ai primi del 2002. Ci potrebbe ridurre molto leffetto di crescita interna e creare un grosso problema di bilancio. Per ridurre questo rischio bisognerebbe mettere sotto controllo velocemente quei costi pubblici che ora non lo sono. Fattibile, ma entro un anno in misura non sufficiente ad eliminare il rischio di scompenso se la defiscalizzazione non generasse la crescita prevista. In sintesi, i prossimi mesi sono, tecnicamente, il momento peggiore. Dovr il nuovo governo aspettarne uno migliore (met 2002) per rilanciare il Paese?

No, perch peggiorerebbero le basi su cui poggiare il rilancio. Quindi, cosa bisogna fare? Evidentemente potenziare leffetto del fattore favorevole per spingere lItalia verso una crescita interna anticiclica, cio nonostante leconomia globale depressa. E possibile? S, in quanto da anni nessuno investe pi in attivit produttive e molto capitale parcheggiato in attesa di condizioni fiscali migliori. Se gli investitori percepiranno che il momento arrivato, allora possiamo scommettere su uninondazione di capitali di investimento che risolver il problema detto entro larco di un anno solare. Da un lato, i capitali ci sono. Dallaltro, la loro movimentazione pu essere governata solo da fattori psicologici, pi che tecnici. Io ritengo che il governatore Fazio, probabilmente consapevole di questa situazione molto delicata, abbia voluto spendere tutto il suo prestigio per indurre lottimismo: lItalia ce la far se ci crede. Invito a crederci.