A Lisbona gli europei hanno deciso di diventare almeno mezzi americani

(titolo originale)

 

Di Carlo Pelanda (25-3-2000)

 

Apparentemente il vertice europeo di Lisbona è stato come tanti altri del genere: impegni roboanti, ma poca sostanza. In realtà, questa volta c’è stato qualcosa di nuovo. I governi europei hanno finalmente deciso di competere con gli Stati Uniti sul piano che vede i primi estremamente più arretrati dei secondi nella capacità di produrre ricchezza ed occupazione. Già nel documento di raccomandazioni strategiche preparato dalla Commissione Europea il 28 febbraio scorso in vista dell’eurosummit di Lisbona questo tema del confronto con l’America era stato insolitamente esplicito. Vi si leggeva, per esempio: “in Europa ci sono meno occupati nel settore dei servizi che in America” o “ in Europa metà delle donne lavora rispetto ai 2/3 negli USA”. Evidentemente si è affermata l’idea che l’Europa non può andare avanti con meno della metà della crescita americana e più del doppio di disoccupati come è successo negli ultimi cinque anni. Il documento finale di Lisbona, ovviamente, non dice in chiaro che l’Europa vuole sfidare gli Stati Uniti. Ma lo fa tra le righe prendendo l’impegno di portare la UE ad essere il luogo più avanzato del pianeta per crescita, ricchezza e modernità entro dieci anni. E tale programma fa nascere immediatamente una curiosità: l’Europa copierà il modello americano (poco assistenzialismo, molta tecnologia e piena liberalizzazione) oppure no? Vediamo.

 La dichiarazione di Lisbona definisce dei passi precisi per lo sviluppo veloce dell’economia basata sulla tecnologia dell’informazione. Per esempio una legge quadro europea per regolare il settore di Internet e dello e-commerce entro il 2000, incentivi propulsivi nel 2001 e costruzione delle infrastrutture informatiche più avanzate in breve tempo e dappertutto. Si nota anche più determinazione del solito nel voler praticare la strada delle liberalizzazioni, con la sola esclusione della Francia. E con molta cautela si propone di rendere più efficiente  e leggero lo Stato sociale. In sintesi i governi europei pensano che si possa creare sviluppo investendo molto nelle nuove tecnologie, ma modificando più lentamente e non a fondo il modello statalista che caratterizza la maggior parte dei paesi del continente. Se mi permettete una battuta, sembra quasi che l’Europa voglia muoversi su un modello “mezzo americano” per poter diventare come l’America, e qualcosina di più, in dieci anni. Più seriamente, è interessante notare che i governi europei si siano ormai convinti della superiorità economica del modello statunitense, ma che non possano e vogliano (anche perché di sinistra quelli dei paesi più importanti) mollare alcuni capisaldi del socialstatalismo. Da una parte va accolta con entusiasmo la notizia che anche la sinistra europea – almeno una parte - si è arresa alla realtà. Dall’altra, nasce una seconda curiosità: se uno vuole essere come l’America può essere tanto diverso dall’America stessa? Nel vertice di Lisbona i governi hanno giurato di sì. Infatti si sono dati l’obbiettivo ambiziosisimo di far crescere il Pil del 3% medio ogni anno nei prossimi dieci anni e di creare 30 milioni di nuovi posti di lavoro pur riformandosi in direzione di un modello solo “mezzo americano”. E tale cifra di crescita, per il prossimo decennio, non se la sogna neanche l’America (che sarebbe felice di un 2% annuo medio). Quanto sono realistici gli europei?

 Francamente pochino. E’ vero che gli investimenti nelle nuove tecnologie e nella Internet economy, abbinati a grandi programmi educativi e di formazione continua in tale materia, hanno la capacità di creare e sostenere un boom occupazionale e di espansione del mercato. Ma è altrettanto vero che per ottenere tale effettto la rivoluzione tecnologica deve basarsi su un substrato di mercato efficiente: poche tasse (metà delle attuali), piena libera concorrenza, totale flessibilità del mercato del lavoro, piena liberalizzazione senza alcun settore industriale protetto o in mano allo Stato. E se non si cambia tale substrato sarà ben difficile sviluppare tutto il potenziale della nuova economia. Quindi resta aperto il problema di quando e come metteremo mano alle riforme di liberalizzazione complessiva e defiscalizzazione dei sistemi statalisti europei. E va definita come un’illusione l’idea espressa a Lisbona che Internet possa creare ricchezza senza toccare troppo i pesi di modello politico che l’hanno finora depressa in Europa.

 Ma, detto questo, consiglierei i lettori di apprezzare comunque la svolta di Lisbona. E’ un segno di almeno “mezzo realismo” dopo tanti anni di irrealismo in cui le sinistre europee dicevano che il modello americano liberalizzato era inaccettabile per poca socialità e che l’Europa andava bene così, senza dover toccare nulla. E’ un passo in avanti. Come lo è il fatto che nel vertice si sia affermato – un po’ sottovoce a dire il vero - il principio che ogni paese o regione subnazionale può usare regimi fiscali diversi in relazione alle proprie esigenze di sviluppo. Il che costituisce la rottura del precedente modello europeo basato sulla omogeneità fiscale per tutti. Per noi – se confermata - è una grande notizia per due motivi: (a) le zone depresse del Sud potranno essere aiutate a svilupparsi con la leva della riduzione delle tasse invece che con i denari assistenziali per lo più prelevati al Nord, permettendo un rilassamento dei pesi fiscali anche da noi; (b) il modello federalista in Italia potrà essere riempito di autonomia fiscale concreta. Non è ancora America, ma pian pianino la stiamo riscoprendo.