L’Europa a due velocità. Come fermare la
locomotiva franco-tedesca
La pericolosa tentazione della diarchia franco-tedesca
(titolo originale)
Di Carlo Pelanda (12-6-2000)
L’Unione Europea è a metà del guado. C’è ormai troppa Europa per poter tornare indietro, ma ce ne è troppo poca per riuscire ad andare avanti. Questa situazione di impasse è ben rappresentata dalla confusione che si registra nei luoghi dove le euronazioni discutono sul come dare una forma istituzionale compiuta all’Unione Europea. Per esempio, la Conferenza Intergovernativa (Cig) avrebbe dovuto delineare entro la fine del 2000 la struttura di governo europeo. E’ difficile che ci riesca e tale ritardo è molto preoccupante. Persino più inquietante è l’ambiguità che caratterizza la questione dell’allargamento, cioè della cooptazione progressiva di altri paesi entro l’Unione. In sintesi, l’Unione non può più rimandare il proprio consolidamento e la chiarificazione di quali – e come – saranno i suoi confini futuri. Su questo punto tutti gli eurogoverni sono d’accordo. Ma sul cosa fare il disaccordo è pieno. E’ possibile definire una linea di condotta razionale per uscire da questo caos? Proviamoci, segnalando per prima cosa un pericolo imminente.
La Francia – che assumerà la presidenza di turno dell’Unione il
prossimo 1° luglio – ha sempre visto l’integrazione europea come occasione di
dotare di più forza le proprie ambizioni di potere globale, depresse dalla
piccola scala nazionale. Dal 1963 la strategia francese – pensata da De Gaulle
– si basa su tre idee chiave: (a) alleanza strettissima con la pur odiata
Germania; (b) utile ad una conduzione diarchica di tutti gli altri europei; (c)
la cui massa economica e geopolitica integrata avrebbe fatto dell’Europa
franco-tedesca il potere dominante del pianeta, anche superiore a quello
americano e russo. La Germania ha accettato nel passato questo piano in quanto
le permetteva di rientrare nella leadership europea e mondiale nonostante la
delegittimazione politica conseguente alla Seconda guerra mondiale. Inoltre –
ragionamento di Kohl e motivo della sua spinta forsennata per la realizzazione
prematura dell’euro – la potenza tedesca è tale per cui ogni tentativo di
europeizzazione della Germania, alla fine, si traduce in una germanizzazione di
fatto dell’Europa. La diarchia franco-tedesca ha disegnato l’Unione Europea con
questo in mente e non certo per l’“europeismo” tanto decantato dai nostri
governanti. Ora che il processo europeo è in stallo, Parigi vuole ripristinare
la diarchia e renderla locomotiva per uscire dal guado, gli altri europei solo
vagoni. Questo, in essenza, è stato l’oggetto discusso nell’incontro bilaterale
franco-tedesco di Magonza, la settimana scorsa. Ed i tedeschi hanno accettato,
in parte, l’idea: ripristinare l’Europa a due velocità. Francia e Germania
decidono, gli altri seguono. E ciò dovrebbe tradursi nel passaggio del
requisito di unanimità a quello di maggioranza semplice per le decisioni, in
sede intergovernativa, che vincolano tutti
gli europei. Con l’aggiunta di pesare la forza degli Stati in modo tale che i
più piccoli non possano rompere le scatole oltre misura. Tale politica
imperiale è insensata. Gli interessi e
le diversità nazionali in Europa sono ancora troppo marcate. Gli inglesi come i
paesi nordici non se la sentono, diversamente dalla faciloneria italiana, di
cedere la loro sovranità a Parigi e Berlino (più alla seconda, alla fine, che
alla prima) senza facoltà di poter controllare le regole “europee” determinate
da questi due. Anche lo spagnolo Aznar ha dato l’altolà a tale ipotesi. In
sintesi, i fatti mostrano che i tempi non sono maturi per strappi nel delicato
tessuto europeo in lenta e difficile tessitura. E sarebbe molto rischioso per
la coesione europea se prendesse nuovamente piede una guida franco-tedesca
(scherzosamente definita il “Reich Noveau” o – dalla rivista Limes -
“Framania”): l’Europa si spaccherebbe in due o tre pezzi.
Cosa fare per evitare tale pericolosa eventualità? Dobbiamo avere
il coraggio ed il buon senso di riconoscere che l’Europa è un’alleanza tra
nazioni e non ancora una vera “Unione”. E di far capire a Parigi ed a Berlino
che nessuno nega loro il riconoscimento della forza che hanno, ma che non per
questo dobbiamo obbedire ciecamente alle loro ambizioni. Di conseguenza, sarebbe più prudente creare
una Costituzione Europea “leggera” ed evolutiva dove tutte le nazioni si
sentano a prorio agio (compreso il Regno Unito) piuttosto che costruire un nucleo imperiale franco-tedesco che
costringa gli altri a seguire con le buone o con le cattive. Ma proprio la
Germania e - un po’meno - la Francia non vogliono tale costituzione: essendo
già i poteri singoli più forti d’Europa, una pur leggera costituzione ne
ridurrebbe l’influenza. Per esempio l’elezione paneuropea di un presidente con poteri
limitati, ma forti, in alcune materie esterne ed interne toglierebbe a Francia
e Germania la possibilità di fare il bello e cattivo tempo, come ora. E così
preferiscono scegliere la strada dello “strappo” che non quello della
“tessitura”. Va detto loro, se siete d’accordo, che a noi italiani non sta bene
e che vogliamo, invece, un’Europa dei pari che, passo dopo passo, si
costituzionalizzi come Stati Uniti d’Europa. Certo, tale modello che privilegia
l’istituzionalizzazione interna rischia di rimandare e rendere più difficile la
cooptazione di nuovi membri esterni. Ma secondo me, alla fine, è meglio
chiarire cosa sarà esattamente l’Europa prima di allargarla. E anche i futuri
partner probabilmente sarebbero più rilassati nel capire meglio in quale condominio
prenderanno il loro appartamento. Temi difficili, ma ogni lettore deve imparare
a formulare una propria opinione su di essi che superi la superficiale retorica
con la quale i governi italiani li hanno finora trattati. Anche perché dalla
scelta tra “strappo” franco-tedesco e “tessitura” costituzionale europea dipende il destino dell’euro. A rischio nel
primo caso, ottimo nel secondo.