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28/11/05

Egregio Professore buongiorno.

Parliamo di TFR e di previdenza integrativa, tema tanto di moda oggi.

Noi vediamo oggi come le organizzazioni sindacali e  la sinistra in
generale (e un p?tutti, a dire la verit? sono attivi  nel caldeggiare e
nello spingere la benedetta riforma del TFR: evidentemente fa gola la cifra
enorme accumulata dalle aziende  che si renderebbe disponibile. Si
renderebbe disponibile  in teoria, sempre ammesso che i titolari dello
stesso TFR ci caschino.  Disponibile,dicevo, alle sgrinfie di assicurazioni
e parti sociali in generale. Non che le altre assicurazioni non siano
interessate, ma che i sindacati  e le assicurazioni Diessine UNI-ficate in
POoL siano cos?assatanate, b??un p?sospetto.
Il sospetto nasce innanzi tutto quando si vogliono creare nuovi centri di
gestione, in mano al sindacato , delegati ad impastare tale torta.

Le domande che continuo a farmi sono le seguenti:

1) Che bisogno hanno i sindacati di creare altre burocrazie per la gestione
della previdenza aggiuntiva, quando hanno gi?l'INPS? Non sarebbe
sufficiente creare la DIVISIONE PENSIONE INTEGRATIVA nell'ambito dello
stesso INPS? Hanno bisogno di distribuire altri stipendi?

2) Quale veste giuridica hanno i sindacati per proporsi come finanzieri?
Forse che oggi non ?pi?di moda finanziare il partito, ma bisogna che il
partito DIVENGA LA FINANZA? Gi?con le COOP e  certe scalate a S.p.A.
bancarie, e con le acquisizioni di aziende e strutture private fatte dagli
enti locali gestiti dalla sinistra si costituisce di fatto una  FINANZA DI
PARTITO  a spese del denaro pubblico. E' questa moda coerente con la
missione della politica?
 NO! La missione dell'ente pubblico sarebbe casomai di creare delle
strutture e poi VENDERLE proficuamente ai privati  (L'allusione alla
faccenda Milano-Serravalle NON ?casuale).

3) Quale sindacato sarebbe quello che gestisce la pi?grossa somma di
denaro liquido mai messa insieme nella storia della Repubblica? Le sembra
una cosa sensata questa?

Ebbene, davanti ai soldi non si f?gli schizzinosi: chi rampa per primo
rampa di pi?

Veniamo al conteggio del conquibus.
Posto che un dipendente guadagni mille euro al mese, l'accantonamento per
TFR corrisponde, al netto a corrispondenti 1000 euro circa. Il che vuol
dire che dopo quarant'anni di lavoro si sono accumulati quarantamila euro.
Mettiamo che il costo della gestione (stipendi ai gestori) controbilanci
il rendimento e che l'inflazione sia nulla, due ipotesi ampiamente
ottimistiche, dopo quarant'anni c'?un capitale di quarantamila euro da
spalmare su un'aspettativa di vita di venti anni, cio?duecentoquaranta
mesi.
Sempre ritenute valide le ipotesi inflazione/costi di gestione/ rendimento
di cui sopra, il reddito derivante sarebbe di 167 euro al mese.
L'entrata in vigore contemporanea della riforma DINI, con cui il calcolo
della pensione sar?fatto su base CONTRIBUTIVA e non pi?sulla base della
retribuzione media degli ultimi anni, la pensione dello stesso dipendente
passer?da circa 780 euro mensili a meno di 500 euro mensili ( credo che
questa sia la previsione) .
Sommando le due cifre 500+ 167 , la pensione totale risultante, a regime,
sarebbe 667 euro , un buon centinaio di euro in meno di prima.

In conclusione, LA SOTTRAZIONE DI UNA MENSILITA' ALL'ANNO E DI UN
IMPORTANTE AUTOFINANZIAMENTO ALLE IMPRESE DARA' COME FRUTTO LA DIMINUZIONE
NETTA DELLA PENSIONE.

Questo si chiama  latrocinio.

In definitiva l'unico metodo per lasciare alla gente la sua bella
liquidazione, alle aziende l'autofinanziamento col TFR ed all'anziano una
pensione decorosa ?quello di compensare la maggiore aspettativa di vita
(che ben venga) con un periodo lavorativo pi?lungo.

Chi dice altro inganna la gente e basta. Speriamo che il Berlusca ci pensi.

Scusi la lunghezza della lettera.
Cordialmente - Pinciroli

04/11/05

Egregio professore buongiorno.

Ricerca e ritrova.
Premesso che appoggio pienamente la riforma della scuola introdotta
dall'ottima signora Moratti, vorrei dire un paio di ovviet?da sempre
taciute nei discorsi sulla ricerca universitaria italiana.

A questo punto della storia del C.N.R.  sarebbe il caso di fare un piccolo
bilancio e confrontare il costo della ricerca alla contropartita del valore
della "ritrova", il che ?come rispondere alla domanda : "Quanto ha
prodotto mezzo secolo di ricerca pubblica italiana?" oppure alla domanda
"Quale proporzione c'?tra  prodotto ed il costo della ricerca italiana
rispetto a quella di un paese dove la ricerca si fa per davvero come gli
U.S.A. ?" .
Se rispondessimo onestamente a questa domanda, credo, si dovrebbe
concludere che la ricerca italiana altro non ?che una forma di pubblico
impiego, e mi fermo qui.

Vero ?che in condizioni normali di ricerca propriamente detta, ricerca
fatta cio?in presa diretta con l'industria , essa genera guadagno. Allo
stesso modo ?il guadagno che stimola e finanzia la ricerca. Cos? succede
dove l'economia ?correttamente intesa, cio?dove esiste una condizione
POLITICA fondamentale da cui nasce lo stimolo alla ricerca vera, e questa
condizione politica ?l'aspettativa di guadagno per l'industria.
In una situazione come la nostra, dove pi?della met?del valore aggiunto
nazionale ?fagocitata dai bisogni dello Stato l'aspettativa di guadagno
per l'industria ?praticamente nulla. Da qui l'azzeramento delle voci di
spesa dedicate alla ricerca.

Mi piacerebbe conoscere il sua parere.

Cordialit?br>  G. Pinciroli