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05/05/2008

 

Gentile Professor Pelanda,


lo so che stiamo attraversando un'epoca - sia economica che cuturale - perigliosa e ignota, alla fine della quale probabilmente il mondo sarà molto diverso da quello degli ultimi venti anni. E dunque svariate cause concorrono al fiotto di inflazione cui assistiamo ulteriormente: la Cina, l'India, milioni di ex-poveracci che vanno in scooter invece che in bici e d'improvviso bevono latte a litri, gli occidentali che col granturco sfamano i motori invece delle proprie bocche, eccetera.
Però secondo me le cose stanno in maniera più banale: come si è evitato (finora) il collasso totale del credito? Stampando moneta, anche se non lo si è detto apertis verbis. Moneta stampata sotto forma di titoli di credito che sono finiti nelle tasche degli "investitori istituzionali" alias mafia di banche & c., gli unici in grado di accedere a certi prodotti, che l'hanno prontamente rimessa in circolo, senza che però finisse nelle tasche delle persone (ovvio): ed ecco che in occidente (altrove chi se ne frega) i prezzi salgono mentre le buste paga languono.

Ho letto peraltro che la Bancha d'Inghilterra ha salvato Northern Rock scambiando titoli del debito pubblico britannico con le obbligazioni spazzatura. Cioè: i farabutti si tengono il malloppo e non perdono il potere sulla banca, mentre lo stato paga - anzi: si obbliga verso di loro! - senza per questo poter contare nemmeno uno strapuntino nel consiglio di amministrazione. Non mi si parli più di quanto sia rispettato il cittadino nella perfida (eh sì: per loro) Albione.

Infine, e lo dico da liberale e ex-liberista: Reagan e Tatcher hanno fatto grandi cose, ma la crescita economica è stata alla fin fine dovuta all'esplosione del credito al consumo (deve scoppiare anche questa, di bolle). E ora chi può salvare la baracca è solo il Vecchio Continente (anche nel senso di non-isola) dei trogloditi che invece di spendere a debito cercano di risparmiare. Che Silvio protegga le nostre tasche e se deve aiutare una banca, che la nazionalizzi!

Distinti Saluti e Buon Lavoro,

Giovanni Briganti