09/08/2010

Egr. Prof. Pelanda,

                                    ho letto l’articolo che parla del rallentamento della crescita italiana in autunno, e come sempre, le mie domande e le perplessità invece di essere soddisfatte, aumentano.

Sono un ‘micro’ imprenditore del sud che lotta tutti i giorni (e le notti) per sopravvivere. In sette mesi ho dovuto licenziare cinque operai su sei per la carenza di commesse e di liquidità. Ho con l’Unicredit un piccolo fido di 20.000 euro (garantito con le proprietà di mio padre). Oggi, per piccoli sconfini, mi è stato chiesto il rientro provocando in me un grande sconforto e determinando una grave difficoltà nella mia azienda. Dove sono finite quelle richieste alle banche paventate in tv da parte delle istituzioni di aiutare le aziende? Io non ho chiesto un aiuto maggiore.

Le ho raccontato questo per farle capire come siano lontane da noi piccoli ed umili queste analisi e che forse la soluzione a tutto non è così difficile, basterebbe ridare valore e libertà a chi produce, a chi lavora con le proprie mani tutto il giorno senza chiedere straordinari, senza aver bisogno dei sindacati o degli avvocati e che quando si fa male si rimprovera da solo e continua senza aver bisogno dell’INAIL. Significa fare un passo in dietro di mezzo secolo? No credo che significhi essere meno utopici e più concreti.

Cosa centra la mia piccola falegnameria con la crisi mondiale? (io vendo nella mia provincia), devo essere contento della crescita? (eppure non vedo aumentare la clientela), perché io microbo della produzione devo soffrire di una crisi che non affama i grandi? (eppure mi basterebbe poco).

Con questo non critico il vostro lavoro di esperti ma penso che manchi nelle vostre analisi le ragioni, l’essenza e la cultura di chi produce.

Io spero che questa mail non servi solamente a me come sfogo, bensì che sia servita anche a lei a capire una realtà molto distante.

La saluto cordialmente

 

Nicastro Antonio