Il G20 debole lascia
libero il capitalismo di ricostruirsi come era prima della crisi
Di Carlo Pelanda (29-6-2010)
Il G20 è un forum che semplicemente registra
le posizioni delle maggiori potenze economiche del pianeta con l’unico valore
aggiunto di moderare le loro divergenze. Nell’estate del 2009 Barack Obama ha trasferito dal G7
al G20, con mossa sostanzialmente unilaterale, la missione di prevenzione e
gestione coordinata delle crisi globali (il G8 comprende la Russia e tratta
materie di sicurezza) per includere
potenze emergenti quali Cina, India e Brasile nelle consultazioni. Il
mondo si è “ingrandito” e così doveva fare anche il suo luogo di
governo-consultazione, si disse. Ma in realtà Obama
ha voluto con tale mossa ridurre il rilievo dell’alleanza con gli europei e con
il Giappone, considerati potenze decadute, e tentare la costruzione di un G2 sinoamericano come diarchia di comando sul pianeta. Il G7
non ha mai funzionato – salvo il coordinamento tra banche centrali - per la divergenza endemica tra America che
premeva europei e Giappone a crescere di più e a dipendere meno dall’export e
questi che non volevano o potevano ridurre i protezionismi sociali nei loro
mercati interni. Il G20 replica questa situazione, amplificandola, e per questo
non ha alcuna speranza di funzionare. Inoltre Il G2 tra America e Cina, pur
mostrando qualche episodio di minimo accordo, è viziato da una sostanziale
divergenza tra i due. Ciò rende il G20 un luogo di interessi contrapposti senza
un potere capace di comporli, un forum appunto, utile solo perché vincola i
partecipanti a moderare le espressioni di conflitto. Sarebbe ridicolo, come
fanno alcuni, ritenere il G20 un luogo di governo dell’economia mondiale. Ma
chi la governa, allora?
Le cose importanti
le decidono America, Cina e Germania, leader delle tre aree monetarie
principali del pianeta, e lo fanno in un gioco continuamente cangiante di
coalizioni. America e Cina hanno l’interesse che l’euro resti alto perché
ambedue crescono grazie alla svalutazione competitiva delle loro monete.
L’America ha interesse che la moneta cinese (yuan) si sganci dal dollaro e si
rivaluti per ridurre il deficit commerciale
statunitense. Gli europei hanno un interesse simile. La Cina ha attuato
lo sganciamento, ma ha ridotto al minimo la rivalutazione dello yuan, cosa da
molti commentata come presa in giro. La Russia ora si sente pronta per entrare nell’organizzazione
mondiale del commercio (Wto) e ha chiesto all’America di aiutarne l’ammissione,
concessa in cambio di un bilaterale meno aspro e di commesse all’industria
statunitense contro quella europea. La Germania ha interesse a tassare le transazioni
finanziarie, ma America, Cina (inglesi ed italiani) le dicono di no. Obama ha interesse a regolare le operazioni bancarie in
modo molto stringente, per motivi elettorali. la Germania vuole tassarle
proprio per non regolarle e la Cina neanche ci pensa. Alla fine, che cosa emerge in questa varietà
di giochi multipli? Tre tendenze: (a) la regolazione delle banche e dei sistemi
finanziari, che richiede standard mondiali, non trova consenso sufficiente e
quindi sarà meno repressiva ed indurrà minori restrizioni al credito di quanto
si temeva; (b) la Cina continuerà ad essere generatrice di squilibri globali,
ma con una nuova consapevolezza a moderarsi, cosa che allontana di un po’ la
prossima crisi mondiale; (c) il mancato coordinamento tra i governi - con preoccupazione
di Draghi espressa in inusuale lettera al G20 -
lascia libero il capitalismo globale e finanziarizzato
di ricostruirsi dopo la crisi esattamente come era prima. La terza tendenza è
la più difficile da commentare perché contiene una promessa sia di grande
sviluppo sia di futura megacrisi.