La forza dell’Italia
Di Carlo Pelanda (27-7-2010)
La situazione
dell’economia italiana mostra ombre e luci. Ma, da qualche settimana, le
seconde tendono a prevalere con sorprendenti bagliori. Fa impressione il balzo
della produzione industriale, quasi una tendenza a boom. La competitività del
nostro export, trainato dal rimbalzo della domanda globale e favorito dal calo
dell’euro, sta crescendo con molti esempi di audacia commerciale ed eccellenza
tecnologica. Anche nel settore agricolo, da anni segnato da cali dei redditi
dei produttori, si comincia a vedere qualche scintilla di ripresa. Il turismo
ancora soffre, ma non affonda, e tanti esempi mostrano la sua capacità di
reinventarsi e restare un motore importante della ricchezza nazionale. Questi
dati meritano un commento inusuale.
Il sistema italiano delle imprese è rimasto
vitale, pur alcune sue parti ancora in sofferenza per le conseguenze recessive.
Desidero enfatizzarlo non per mancanza di rispetto verso chi è ancora in
difficoltà, ma per far vedere che in Italia c’è una sufficiente massa critica
di soggetti economici forti, che non si spaventano né si disperano, capaci di
resistere alle avversità, invertendole. Nelle cronache prevalgono gli aspetti
negativi (per esempio il calo delle capacità di spesa e risparmio delle
famiglie per l’impatto recessivo) o la drammatizzazione di problemi specifici,
quali la scelta della Fiat di produrre dove le costa meno, ecc., in un contesto
di segnalazioni ossessive del disordine politico. Ma sono immagini parziali non
corrispondenti alla realtà italiana complessiva. Qui, infatti, voglio enfatizzare i motivi per
l’ottimismo e perfino l’utilità di una certa baldanza guascona. La politica
soffoca il mercato con tasse ed inefficienze? Ma è evidente che si riesce a fare
impresa lo stesso, basta che il governo tenga un minimo di ordine a cornice. E
questo, francamente, riesce a farlo. Se facesse meglio sarebbe più facile per
tutti, ma se non lo fa ci sviluppiamo lo stesso. La società italiana, in
particolare il suo popolo produttivo, è
più forte della politica. E al Nord la qualità della società produce anche più
qualità amministrativa nella politica stessa. In sintesi, non c’è quel disastro
morale e tecnico che troppi media lasciano intendere. La Fiat sposta alcune produzioni
in Serbia? Affari suoi, l’importante, per l’interesse sistemico, è che nascano
nuove imprese tecnologiche e che quelle piccole diventino più grandi per
operare globalmente. Sta succedendo, non nella scala e velocità che vorremmo,
ma il fatto che avvenga mostra che è possibile. In sintesi, per una Fiat che
va, auguri, nasca un’azienda di robotica avanzata. Più ottimismo potrà ampliare
tale possibilità. Invece di difendere i posti di lavoro in aziende decotte o
che per caratteristiche di settore non possono reggere i costi di produzione in
una società con welfare evoluto, si favorisca la nascita o lo sviluppo di nuove
imprese che assorbano i lavoratori espulsi da altri settori. Anche i lavoratori
dipendenti dovrebbero mostrare un po’ più di audacia che ne incrementi la
mobilità sia intellettuale sia geografica invece che lagnarsi se fugge il posto
di lavoro vicino a casa, facendo tragedie ed innescando obsolete resistenze
sindacali. Ed è un evento nella mente che può provocare questo cambiamento, un
cambio di cultura, dove l’individuo prende piena responsabilità del proprio
destino non invocando troppe tutele. Ma tale cambiamento culturale potrà
avvenire solo se prevarrà la società ottimistica ed audace contro quella
lagnosa. La buona notizia è che in Italia questa società ottimistica c’è, è
fortissima, deve solo potersi leggere sui giornali.