Non solo tagli ma
cambio di modello
Di Carlo Pelanda (1-6-2010)
Caro Esarcato, il
fatto che i mercati non siano più disposti a rifinanziare il debito delle euronazioni se queste non dimostrano la capacità di
contenerlo e poi ridurlo, chiude una stagione storica del modello di welfare
europeo: nel futuro non sarà più possibile finanziare in deficit gli apparati
enormi e le garanzie generose dello Stato sociale. E’ un cambiamento epocale
che dobbiamo tutti imparare a capire e gestire.
Il taglio, in
Italia, di 24 miliardi di spesa pubblica
nel prossimo biennio è solo l’inizio di un processo di riequilibrio dettato
dalla necessità di mostrare subito ai mercati che l’Italia è capace di rigore e
di perseguirlo nonostante le ovvie proteste degli interessi colpiti. In caso
contrario l’Italia verrebbe messa nella lista dei Paesi a debito insostenibile.
Ma, finita questa emergenza contingente, poi l’Italia dovrà mostrarsi capace di
rispettare Il nuovo requisito europeo del “bilancio in pareggio”. Già nel 2009
la Germania ha messo in Costituzione tale obbligo, dal 2016 per il livello
federale e dal 2020 per le istituzioni locali. Per arrivarci dovrà tagliare
circa dieci miliardi di spesa strutturale ogni anno ed il governo Merkel ha confermato tale intento. La Francia ha annunciato
qualcosa di simile e sta studiando il meccanismo istituzionale per arrivarci. L’Italia, se non
vuole uscire dall’euro e rischiare l’insolvenza del suo debito, dovrà fare lo
stesso. Significa, con una prima stima ad occhio, dover tagliare in 5 anni dai
50 ai 60 miliardi di spesa pubblica per arrivare al pareggio di bilancio, cioè
ridurre a zero o quasi il deficit pubblico annuo, in modo da contenere l’aumento
del debito complessivo. Tale nuovo requisito sostituirà il vecchio europaramentro che ammetteva un deficit fino al 3% del Pil
(cioè 45 miliardi circa). Un taglio del genere in cinque o sei anni implica una
tale riduzione dei costi pubblici da indurre una modifica del modello di Stato
sociale con apparati amministrativi di grande volume. Se la crescita del Pil
aumenterà oltre le attese e l’inflazione resterà bassa, allora l’impatto sarà
più morbido, ma non al punto da modificare la necessità di cambio del modello.
Inoltre il rigore senza crescita non basterà e la seconda è ottenibile solo
tagliando le tasse, requisito che aumenterà il volume dei tagli strutturali
sopra ipotizzati. Questo è lo scenario che la politica dovrà affrontare nei
prossimi 5 anni. Ma sia in Italia sia nell’Eurozona non è pronta a cambiare
modello. Prova ne è che i tagli finora intervenuti, e quelli in corso, cercano
di mantenere il vecchio modello finanziandolo di meno e aumentando le tasse o
non riducendole. Così si arriva all’assurdo di ridurre le garanzie per i
bisognosi, mantenere i costi inutili degli apparati e comprimere la crescita
del Pil. Per un po’ tale politica, se sostenuta da più crescita trainata
dall’export grazie alla svalutazione dell’euro, potrà tenere, ma ad un certo
punto esploderà il problema che lo Stato sociale non potrà essere ridotto senza
essere ridisegnato. Senza un nuovo modello, infatti, i tagli del vecchio o
produrranno una rivolta sociale o non basteranno per lo scopo o indurranno una
deflazione distruttiva per assenza di crescita. Per questo l’interrogativo
principale riguarda la capacità della politica sia di concepire un nuovo
modello di welfare con minori costi d’apparato, garanzie più sostenibili e con
un fisco più favorevole alla crescita sia di conquistare il consenso per
realizzarlo. Speriamo la trovi, ma va registrato che al momento, in tutta Europa, non dimostra di
averla.