Africome?


Di Carlo Pelanda (9-10-2016)


Che il governo abbia messo in priorità il sostegno alle nazioni africane per limitare l’emigrazione è certamente un atto lungimirante. Che il premier, invece, abbia dichiarato che se l’Europa non collabora l’Italia farà da sola è affermazione che segnala o un momento di nervosismo o la mancata comprensione di quanto la materia sia complessa. Ci sono, infatti, due errori nella dichiarazione: l’Italia non può sortire alcun effetto rilevante attraverso azioni unilaterali e l’Ue non è il partner giusto per proiezioni esterne. Conseguentemente, l’espressione “con l’Europa o senza” non ha senso. La giusta strategia, invece, deve differenziare alleanze – cioè i moltiplicatori della forza nazionale - obiettivi e soluzioni caso per caso. L’obiettivo di prima linea è il controllo delle coste nordafricane per bloccare i flussi migratori all’imbarco. Ciò implica una collaborazione da parte di Libia, Egitto e Tunisia che l’Italia può ottenere solo con i giusti alleati. La Germania non ha interesse a ingaggiarsi troppo nel teatro specifico perché implica rischi di sicurezza e per i suoi interessi mercantilistici. La Francia è da sempre in guerra con l’Italia per l’influenza nel Mediterraneo. Sta tentando un’alleanza con l’Egitto e converge con questo, e con i sauditi da decenni vogliosi di influenzare il petrolio libico, per mantenere il controllo della Cirenaica, cioè la parte orientale della Libia. L’America, che influenza la Tripolitania, cioè la Libia occidentale, ha interesse a chiudere i focolai locali, anche per difendere la traballante stabilità di Algeria e Marocco contro insorgenze jihadiste, per altro anche interesse francese. Cosa dovrebbe fare l’Italia? Una possibile strategia pragmatica sarebbe quella di cercare un compromesso con Egitto e Francia, lasciando a loro la Cirenaica, tenendo l’influenza, con mandato di fatto proconsolare dall’America, sulla Tripolitania e le sue risorse petrolifere, più o meno equivalenti a quelle della Cirenaica, convergendo tutte le parti citate per tranquillizzare le circa 200 tribù dell’area con i soldi e così evitare i traffici umani, indurre il presidio locale delle coste e far cessare la pressione jihadista contro la Tunisia. In tale strategia l’Italia dovrebbe avere come partner primario l’America e trattare la Francia come un nemico con cui si fanno tregue, appunto azione impossibile se vi fosse un’iniziativa Ue, dove Parigi è più influente di Roma, per l’area. Seconda linea: mettere in ordine quelle nazioni dell’area centroafricana da cui provengono flussi migratori generati da situazioni di insorgenza jhadista: Somalia, Kenya orientale, Nigeria settentrionale, Mali, Sudan, ecc. Qui si può solo combattere e quindi, se considerato utile l’ingaggio, l’alleato è giocoforza l’America. Forse un’azione unilaterale italiana è possibile per attutire i conflitti interni in Etiopia ed Eritrea e tra loro. L’obiettivo di terza linea è ridurre la migrazione per povertà dall’Africa sub-sahariana. Qui il problema è che la povertà endemica dipende da regimi dittatoriali che ostacolano lo sviluppo socialmente diffuso. Con la complicazione che la Cina, in particolare dal 2007, sostiene parecchi di questi regimi in cambio di un privilegio per lo sfruttamento delle risorse naturali. E che i governi europei instaurano con questi regimi autoritari relazioni di solo vantaggio mercantile, in competizione tra loro. Condizionare la politica di questi Stati, e delle potenze che vi fanno affari, per accendere il progresso economico e sociale, è azione delicata, anche per il rischio di essere imputati di neocolonialismo da dittatori che però hanno il voto all’Onu, e che impone un’iniziativa multilaterale ampia. Non c’è ancora un’idea complessiva sul come generarla e forse è meglio che questa tardi per lasciare il tempo di emergere alla consapevolezza degli africani di doversi stabilizzare in proprio, cosa che sta lentamente succedendo, per esempio le trattative per integrare le tre aree di libero scambio del continente verso la prospettiva di un grande mercato unico continentale. L’Italia, nel complesso scenario subsahariano, potrebbe assumere due ruoli: unilateralmente, quello di “honest broker”, cioè di mediatore ritenuto affidabile da tutti gli attori; multilateralmente quello di partner in coalizioni selettive per la gestione di programmi particolari di sviluppo. Tale strategia implica alleanze variabili di contingenza, i cui unici riferimenti permanenti sono la relazione privilegiata con gli Stati Uniti e operare sotto bandiera Onu. La materia è complicatissima, anche perché va armonizzata, per definire le alleanze e gli investimenti, con le politiche competitive di penetrazione commerciale sia in Africa, proiettata verso i 4 miliardi di abitanti, sia altrove, in particolare America del Sud e Asia centrale. Ma queste note, intanto, servono a mostrare che l’Italia non può gestire la priorità africana né da sola né vincolata dall’Ue e tantomeno senza inserirla in una strategia globale.

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