L’Italia è in zona pericolo


Di Carlo Pelanda (6-11-2016)

Nel prossimo futuro il mondo sarà più turbolento di quanto lo è stato tra il 1945 e il 2015. Il mercato finanziario internazionale si adatterà a più incertezza investendo in quelle nazioni che mostrano più solidità economica e politica, abbandonando le altre che per questo cadranno in una spirale d’impoverimento. In tale scenario l’Italia è in zona pericolo perché la sua conduzione politica, invece di mettere in priorità l’affidabilità, la mantiene inaffidabile. Prova ne è che a ogni turbolenza in qualche parte del mondo che genera avversione al rischio negli investitori, l’Italia risulta la nazione più penalizzata. In questi giorni il fenomeno si è aggravato: il mercato sta scontando una prossima stagione di maggiore incertezza politica ed economica globale e sta ricollocando gli investimenti in zone e beni considerati più sicuri. Nella scorsa settimana i flussi di capitale hanno comprato titoli di debito statale, in parte lasciando le Borse. Il debito italiano, caso unico, è stato abbandonato perché considerato troppo a rischio, così portando il suo rendimento, che è un costo per lo Stato emittente, a un picco di rialzo. Ciò è impressionante perché il debito italiano è protetto, di fatto, dal programma Bce che lo acquista. Ora il segnale è che questa garanzia non basta più e che il mercato pretenderà un premio di rischio più elevato per rifinanziare il debito italiano. E’ la stessa tendenza vista nel 2011 che poi ha portato alla devastante depressione italiana 2012-14: la sfiducia sul debito ha causato un’azione di rigore che non solo ha depresso l’economia, ma che ha anche peggiorato l’affidabilità del debito stesso a causa della decrescita. Gli investitori, infatti, diedero un out-out: o la Bce garantisce l’Italia o il mercato l’abbandonerà, alzando il premio di rifinanziamento del debito fino all’insostenibilità, perché non si fida dei governi italiani né del metodo tedesco di stabilizzazione. Infatti, la crisi fu risolta solo grazie all’impegno di Draghi nel 2012. Perché ora la protezione Bce non basta più? La Germania farà di tutto - come Weidemann sta mostrando in nome di un’ambizione politica personale o della Bundesbank? - per interrompere il programma Bce di acquisto dei debiti, in scadenza nel marzo 2017, perché tema chiave per le elezioni nell’autunno 2017. L’incertezza sulla continuità di tale ombrello è la concausa principale della riduzione della fiducia sul debito italiano perché il governo non mostra la volontà di ridurre il debito e questo, senza la protezione Bce, è destinato all’insostenibilità, l’Italia all’insolvenza. Per altro, il mercato non abbandonerà volentieri una nazione industriale, scassata, ma con ottimo potenziale che sta mostrando, ed è pronto a scontare in positivo anche piccoli segnali migliorativi. Ma questi non sono visibili. La riparazione del sistema bancario è troppo lenta perché il governo non ha voluto ruggire per ottenere una deroga dalle norme Ue e sostenere con aiuti temporanei il processo di risanamento degli istituti. E non l’ha fatto per paura che la Commissione e la Germania s’irrigidissero, negando la flessibilità richiesta da Renzi. In sintesi, per finanziare in deficit molto assistenzialismo, a fronte di pochi stimoli fiscali, per comprare consenso elettorale, il governo ha lasciato scoppiare un’immotivata e devastante crisi bancaria. Ciò ha mostrato al mondo la debolezza strategica e di visione di un governo tutto concentrato sul breve termine e non sulla prospettiva. Con la complicazione di esporre in tal modo l’Italia a inasprimenti fiscali, forse già nel 2017, per tappare i buchi di bilancio coperti in modo vago, o al rischio di dover chiedere più spazio di deficit nel futuro e quindi di aumentare il debito già insostenibile. La Francia fa lo stesso. Ma questa ha armi nucleari ed è garantita da patti bilaterali con la Germania che rassicurano il mercato. Il premier italiano ha cercato di infilarsi nel duetto creando un trio, ma la Francia, più che la Germania, lo ha respinto. L’alleanza con l’America tiene, ma senza uno scambio politico utile al risanamento delle nostre banche e a un ombrello indiretto per la protezione del nostro debito. Pretendo e critico troppo? Forse, ma il mercato valuta la capacità di una conduzione politica di muoversi anche in mare agitato, a cominciare dalla priorità di tappare le falle nello scafo. La valutazione al momento è negativa e non si trasformerà in positiva né se questo governo continuerà con lo stesso modo il proprio mandato dopo il referendum né se sarà sostituito da un altro estratto dal medesimo contesto politico. San Draghi, probabilmente, darà all’Italia un po’ più di tempo di galleggiamento. Questo dovrebbe essere usato per un “progetto nazionale” di risanamento basato sulla comprensione della priorità di rendere affidabile questa potenzialmente grande nazione, ora a rischio per una conduzione politica che sceglie la cosa più facile invece di quella giusta, difetto che ci deprime da decenni.

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