Governo orbo, manovra zoppa


Di Carlo Pelanda (30-10-2016)


Il governo sta comunicando che la manovra economica avrà un effetto stimolativo forte sulla crescita. Ma l’analisi sistemica mostra che è insufficiente, pur alcune misure apprezzabili. Per stimolare gli investimenti, il governo ha mosso la leva degli incentivi fiscali, ma non ha toccato quella che servirebbe a costruire la fiducia sull’Italia e in Italia che è il vero motore degli investimenti stessi: la riparazione rapida del sistema bancario e l’avvio di un’operazione “patrimonio pubblico contro debito” per ridurlo. Ha, cioè, impostato lo stimolo come se i problemi del debito e delle banche non esistessero. Da un lato, è possibile che la manovra possa aumentare di circa lo 0,5% il Pil previsto per l’anno venturo, portandolo attorno o un po’ sopra l’1%, e di più nel 2018, grazie agli incentivi fiscali all’industria, a un incremento degli investimenti pubblici e a più assunzioni e aumenti di salario nell’Amministrazione pubblica. Dall’altro, tale stima assume che il sistema del credito funzioni e che l’Italia non venga penalizzata da un aumento del premio di rischio richiesto dal mercato per rifinanziare il debito pubblico. Il punto: tali assunti non sono sostenuti né dai fatti né dalle probabilità e perciò la stimolazione fatta dal governo muovendo una sola gamba è a forte rischio di inciampo e caduta rovinosa per la mancanza della seconda. Il governo, evidentemente, conta sul fatto che il programma di acquisti degli eurodebiti della Bce, con lo scopo di reflazionare l’Eurozona, che di fatto garantisce il basso costo di rifinanziamento di quello italiano e gli fornisce un garante indiretto di ultima istanza – che bilancia l’assenza di garanzia dovuta alla mancanza di sovranità monetaria e di bilancio dell’Italia – duri a lungo. Probabilmente durerà per una parte del 2017, ma poi finirà o sarà di entità minore perché l’inflazione nell’Eurozona sta salendo, ancora poco quella dovuta a crescita, ma di più quella generata dalla ripresa dei prezzi energetici. Poiché la Bce può comprare debiti sovrani solo per raggiungere un’inflazione vicina al 2%, ora quella media rasenta l’1%, è razionale pensare che all’orizzonte ci sia comunque la fine di questo programma. Infatti, il mercato lo già scontando a danno dell’Italia. Poniamo che San Draghi inventi qualcosa per prolungare l’effetto Bce: anche in questo caso, però, l’Italia resterebbe a rischio perché negli ultimi mesi si è visto che a ogni turbolenza internazionale, per esempio la Brexit, il mercato reagisce con un picco di avversione al rischio che lo porta poi a penalizzare di più l’Italia stessa perché considerata la più vulnerabile in caso di “contagi”. In queste condizioni, mi chiedo che senso prudenziale, e di vera leva, abbia il finanziare in deficit stimoli senza dare un messaggio al mercato che l’Italia ridurrà il debito, cioè che si muove con due gambe. Sarebbe fattibile? Certamente, si tratta: a) di impacchettare il patrimonio pubblico disponibile, cioè partecipazioni, immobili e concessioni, per valorizzarlo sia attraverso migliore gestione sia attraverso vendite: b) usare questa valorizzazione come rendimento sottostante per obbligazioni (variabili) a lungo termine, fino a 30 anni; c) ripagare, in parte, con questi titoli basati sull’attivo patrimoniale, e non con cassa, quelli di debito che giungono a maturazione, in tal modo riducendo il debito stesso. Non è necessario fare tutta e subito una tale operazione: basterebbe avviarla in modo credibile per far scontare al mercato che in un decennio l’Italia potrà e vorrà abbattere il debito di almeno 400-500 miliardi, così portandolo a sostenibilità. Poi il mercato sconterebbe un minore impatto della spesa per interessi sul bilancio annuale che darebbe più spazio per detassazioni e/o investimenti pubblici, quindi impulso sano e non in deficit alla crescita. Il rating migliorerebbe, favorendo investimenti esteri ora dubbiosi. E nel negoziato con l’Ue l’Italia potrebbe dare un motivo per eliminare il fiscal compact e trattare più flessibilità per investimenti ora perché il debito avrebbe un chiaro destino di riduzione. Invece, non mettendo in priorità la “dedebitazione”, il governo rischia di annullare l’azione stimolativa, peggiora la posizione negoziale con l’Ue per l’eccessivo ricorso al deficit e, soprattutto, peggiora la percezione del rischio Italia nel mercato globale. Se a questo si aggiunge l’assurdità di pensare che una crisi bancaria possa essere risolta senza un intervento di garanzia da parte dello Stato e/o senza ridurre, appunto, il rischio Italia sul piano del debito è inevitabile segnalare che il governo, pur a fronte di buone intenzioni non mostrate da quelli precedenti, sembra non avere un’idea chiara di quali cose e come vadano fatte per invertire la crisi italiana. Vorrei presentare al Presidente della Repubblica una nota tecnica al riguardo del rischio Italia, che ora è perfino esistenziale e quindi coinvolge il Quirinale, e le possibili soluzioni. Mi riceve? www.carlopelanda.com