Crisi e rilancio del mercato globale delle democrazie


Di Carlo Pelanda (25-9-2016)


Alla fine del 2015 era concreta la possibilità che si formassero due grandi aree di libero scambio nel Pacifico e nell’Atlantico generate rispettivamente dai trattati TPP e TTIP come primo passo per un mercato globale delle democrazie e una conseguente Grande alleanza politica tra esse, governata dal G7. Nel 2016 questo progetto è stato bloccato dai dissensi popolari, sia in America sia in Europa, che hanno convinto la politica a congelarlo a ridosso di una sequenza di elezioni, dal novembre 2016 all’autunno del 2017. Il punto: nel 2018 questo progetto sarà riavviato o cancellato per sempre?

Il progetto è stato spinto da motivi sia geopolitici sia economici. Nel 2009 Obama dichiarò la fine del G7 a favore del G20 inteso come luogo dove esercitare un governo G2 del pianeta con la Cina. La divergenza tra i due emerse già nel 2010, con complicazioni. La Germania, dominando l’Ue, colse l’occasione per ergersi a potere G3, appoggiando ora l’uno ora l’altro, per strappare vantaggi nazionali nell’ambito di una strategia mercantilista. Il Giappone temette di doversi arrendere alla Cina perché l’America non ne era più un garante di sicurezza ed economico. Per inciso, a quei tempi iniziò nelle élite e nei think tank britannici la ricerca di una nuova strategia nazionale in un mondo dove l’America non era più il potere principale e Londra era troppo vincolata da Berlino. Infatti la Brexit è una strategia manipolativa interna per fini esterni andata fuori controllo e non un fenomeno spontaneo. Nell’autunno del 2012 la burocrazia imperiale statunitense mostrò a un Obama che aveva appena vinto il secondo mandato che, continuando così, l’America avrebbe perso l’impero. Inoltre, la Cina aveva già esaurito il suo ruolo di locomotiva della domanda globale in sostituzione temporanea di quella statunitense, grippata per la crisi finanziaria del 2008, e quindi si poteva nuovamente contenerne l’espansione, in particolare nel Pacifico. Obama cavalcò l’idea anche perché i dati di ripresa mostravano che era insufficiente e che questa, oltre che la crescita prospettica, richiedeva più export e che il problema era simile per Europa e Giappone e che quindi un mercato con meno barriere tra partner sarebbe stati utile per tutti. Le simulazioni, in parte leggibili nei successivi studi della Fondazione Bertelsmann e del British Council del 2013, corroborarono l’ipotesi. E mostrarono che l’America avrebbe potuto limitare il suo più grande problema: per decenni aveva finanziato gli alleati grazie al commercio asimmetrico, cioè permettendo l’importazione di tutto senza chiedere loro reciprocità, al costo di un eccesso di concorrenza non bilanciata nel mercato interno che ha distrutto i redditi e l’ottimismo della classe media (tema elettorale di Trump e Sanders). Il pensiero strategico statunitense decise di usare gli argomenti di utilità economica per attutire il progetto geopolitico di formare un blocco delle democrazie che escludesse i regimi autoritari, in particolare Cina e Russia, questo un errore, di fatto una nuova Guerra fredda a bassa intensità. Nel febbraio del 2013 Obama annunciò l’avvio dei negoziati TTIP (Partenariato transatlantico per gli investimenti e il commercio) tra Stati Uniti e Ue e il riavvio di quelli TPP (Partenariato Trans-Pacifico) tra Usa e 11 nazioni asiatiche e sudamericane, tra cui il Giappone. Ora il secondo è in attesa di ratifica da parte del Congresso, congelato, e Il TTIP è stato messo in attesa. I dissensi, in realtà, sono stati solo in piccola parte spontanei. La mobilitazione anti-TTIP in Europa è molto influenzata dalla Russia che ha finanziato partititi protezionisti, movimenti antagonisti e media, contando sul fatto che una società in ansia per l’impoverimento fosse facilmente manipolabile. La Cina, più sottile, ha usato la sua forza finanziaria per condizionare i governi europei. In America Trump e Sanders hanno colto nei sondaggi la disperazione di una classe media esasperata ed hanno calibrato la loro offerta enfatizzando rassicurazioni protezioniste, così togliendo consenso ai trattati. Saranno riavviati o no nel 2018? Certamente i governi tenteranno di farlo, per i seguenti motivi. Qualsiasi Presidente americano, anche Trump, dovrà aggregare Giappone ed europei per evitare il dominio cinese. Gli europei, in particolare le manifatturiere ed esportative Germania e Italia, avrebbero il maggior vantaggio dalla formazione di un mercato integrato delle democrazie. La Germania, pur indecisa tra neutralismo, atlantismo e suggestioni euroasiatiche non potrà rischiare di perdere il mercato statunitense e il dominio dell’Europa mettendosi in frizione con l’America. Nelle democrazie i poveri votano, chiedono protezioni che costano, e ciò rende i modelli di capitalismo democratico meno efficienti di quelli di capitalismo autoritario, quindi ogni democrazia può aprire il proprio mercato solo a partner simili per non importare concorrenza sleale e impoverente. Ma il nome e la formula dei trattati, in particolare il TTIP, dovranno essere modificati per facilitarne il consenso. Da un lato ci vorrà più pragmatismo e gradualità. Dall’altro, secondo me, bisognerà esplicitare e non sfumare la natura politica del progetto per dargli forza simbolica: alleanza delle democrazie, che vale il 70% del Pil mondiale e circa il 55% del commercio globale, come pilastro militare e finanziario del nuovo ordine mondiale e immensamente più potente dei regimi autoritari. E bisognerà includere la Russia, cosa da preparare già nel G7 a presidenza italiana nel 2017. Così funzionerà. Chi vuole approfondire legga il mio Nova Pax (Angeli, 2015).

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