Cercasi profezia positiva

Di Carlo Pelanda (3-4-2015)

Nelle sale operative della finanza c’è euforia, nei think tank dedicati agli scenari di lungo termine, invece, preoccupazione. Nei secondi si sta discutendo di: disintermediazione del lavoro umano da parte di sistemi robotizzati ed informatici; una nuova normalità caratterizzata da stagnazione endemica nelle economie dell’area occidentale; improbabilità che i debiti pubblici vengano ripagati; un restringimento dell’area mondiale dove le operazioni economiche e finanziarie possono essere condotte con un decente controllo del rischio a causa della crescente instabilità (geo)politica; ecc.. Nei pensatoi che frequento raccomando di non enfatizzare troppo gli scenari che indicano un futuro implosivo. Per due motivi. Il primo, metodologico, deriva dalla lezione a seguito dell’errore del Club di Roma, ed altri simili, negli Anni ‘70: scenarizzò limiti allo sviluppo, in base a proiezioni lineari che non tenevano in conto variabili migliorative intervenienti, dai quali derivò raccomandazioni di politiche limitative. Da un lato, queste non fermarono il motore del capitalismo tecnologico e lo sviluppo. Dall’altro, lo frenarono dando argomenti alla reazione anticapitalista, che poi alimentò la nascita di regole restrittive e, soprattutto, di una cultura dove la prudenza tende ad essere più importante dell’iniziativa, virus letale per il capitalismo tecnologico stesso. Il secondo motivo è collegato: se il mercato scontasse gli scenari remoti oggi prevalenti potrebbe perdere euforia e la liquidità tecnica resa disponibile non troverebbe un moltiplicatore psicologico capace di sortire l’effetto crescita, in America ed Europa. Ma mi sono chiesto: è sensato contribuire alla ripresa separando mercato e pensiero, nonché scenari di breve con quelli di lungo, affinché l’irriflessività renda più attivi, avidi ed audaci, cioè salvifici, gli attori economici? Avrebbe senso se le Banche centrali potessero mantenere attivi i QE per un tempo indefinito (tendenza corrente), ma è improbabile che ciò sia possibile. Quindi la giusta strategia è un’altra: contrastare attivamente le profezie negative con nuove positive, considerando che sono per lo più nipoti del pensiero limitativo e non anticipazioni di una realtà inevitabile. Il punto: alla ripresa dell’Occidente manca il traino di una profezia che mostri un futuro da cui estrarre ricchezza nel presente. Mentre lo scrivo già vedo un nuovo progresso che rinnovi, tecnicamente, il sogno del capitalismo di massa e per questo mi permetto un appello: nei pensatoi e nelle università dovremmo

 

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