La passività estera dell’Italia provoca crescenti danni economici


Di Carlo Pelanda (18-9-2015)


L’Italia è una potenza industriale seconda solo alla Germania in Europa. Come la Germania ha un modello export-led e conseguente necessità di una politica estera mercantilista. Finora Roma ha potuto partecipare in modi passivi ad alleanze, Ue e Nato, che ne hanno moltiplicato la forza nazionale ed allo stesso tempo facilitato le relazioni commerciali con nazioni esterne o in frizione con tali alleanze, per esempio: l’Unione sovietica durante la Guerra fredda, l’Iran dopo la rivoluzione teocratica, ecc. Ora non è più possibile per l’Italia mantenere una posizione passiva nelle alleanze perché questa ne compromette gli interessi. Roma ha dovuto bombardare il suo alleato libico con enormi danni geoeconomici, per obblighi Nato, perché non è riuscita a contenere la strategia francese di “prendersi” la Libia, nell’ambito di quella obamiana, poi fallita, di appoggio ai Fratelli musulmani. Un danno maggiore è derivato dalle sanzioni euroamericane alla Russia. L’opzione di staccarsi dalle alleanze darebbe danni peggiori, ma restare passivi non da più vantaggi. Il problema è comune per Germania, Giappone e Italia che, dopo la sconfitta bellica, avevano sostituito la strategia di dominio imperiale con una politica mercantilista sotto l’ombrello della Pax Americana, scambiando basi statunitensi sul loro territorio con certa libertà d’azione. Berlino e Tokyo lo hanno risolto prendendo una posizione di partecipazione attiva al nuovo mercato globale delle democrazie amerocentrico (TTIP + TPP) coordinando con gli Stati Uniti i gradi di apertura nelle relazioni con gli esclusi dal nuovo mercato, cioè Cina e Russia. In tal modo sono riusciti a mantenere il vantaggio moltiplicativo dell’alleanza. L’Italia è rimasta ferma e sta subendo danni da irrilevanza e da concorrenza. Per esempio, la Germania ha “preso” l’Iran mentre Roma celebrava l’antica amicizia con Tehran. Roma si è ben connessa con l’Egitto, ma perché l’Eni ha detto al governo cosa fare e non viceversa come, invece, succede a Berlino e Tokyo. Qual è il problema dell’Italia? Mancano gli strumenti per fare scenari strategici, concepire strategie e attuarle: un Consiglio per la sicurezza nazionale e un ufficio per la “guerra economica”, collegati al Coordinamento dei servizi segreti, ambedue connessi con una funzione di “net assessment”, cioè un ufficio scenari dipendente dalla Presidenza del consiglio. Il punto: l’Italia resta passiva perché l’interesse nazionale è definito da una burocrazia frammentata introversa e la politica non ha strumenti di sintesi per capire e attuare le giuste strategie estroverse.