Il valore finanziario degli immigrati


Di Carlo Pelanda (12-6-2015)


La gestione degli immigrati è ostacolata della mancanza di un criterio guida razionale e realistico. Per questo propongo una visione utilitarista, nell’ambito di una di geopolitica economica competitiva, che definisca il valore finanziario dell’immigrato da cui derivare, poi, una migliore dottrina gestionale. L’immigrato, infatti, è capitale umano ad alto valore potenziale perché, mediamente, con caratteristiche favorevoli per la sua rapida conversione in capitale finanziario. Quella principale riguarda la presenza di una psicologia audace, perché la decisione di migrare implica propensione alla presa di rischio e reazione attiva alle situazioni, che rende probabile un forte attivismo economico. Il codice culturale prevalente, rurale o pre-industriale, porta l’individuo a costruire famiglie numerose e a sopportare qualsiasi fatica per mantenerle. L’Italia è in stagnazione demografica e proiettata verso lo squilibrio tra popolazione attiva e passiva. Il mercato del lavoro, nonostante il basso tasso di occupazione e quello elevato di disoccupazione, mostra un gap di offerta per molte mansioni. L’incorporazione di 70-80mila immigrati all’anno, selezionati, aiuterebbe il riequilibrio demografico, trovando spazio di reddito e di locazione con il beneficio di rialzare i valori prospettici di Pil e gettito nonché immobiliari, ecc. Ma l’effetto positivo implica organizzazione dedicata ed investimenti: formazione linguistica “in recinto”, nel cui ambito anche selezionare gli individui migliori; aiuto per la ricerca di un’occupazione nei settori dove l’offerta di italiani è inferiore alla domanda per evitare frizioni con i nativi; creazione di una pagella a punti che dopo sei anni permetta l’accesso alla cittadinanza; da valutare anche la formazione di una Legione straniera per impieghi in aree asiatiche ed africane. Il punto: per la miglior resa finanziaria dell’immigrato bisognerebbe creare strutture e servizi per il suo rapido inserimento. Queste ora non esistono per il timore di incentivare i migranti a convergere sull’Italia e per il dissenso dei protezionisti anche giustificato dal lirismo umanitario non-selettivo dei solidaristi. Ma la politica non ha mai tentato di far veder l’immigrato come fattore di competitività nazionale in una situazione dove parecchie nazioni, tra cui Stati Uniti e Germania, hanno una strategia di importazione del capitale umano migliore. Se tenterà questa nuova visione, probabilmente riuscirà a cambiare il profilo dell’immigrato nel consenso e ciò faciliterà le soluzioni tecniche di gestione dei flussi.