Globalizzazione in bilico
Di Carlo Pelanda (28-1-2007)
Il Forum di Davos è più una vetrina per le èlite
del sistema globale che un luogo di veri confronto ed
ideazione. Ma ha rilievo perché fa trasparire le idee
correnti sullo stato della globalizzazione da parte
dei protagonisti. Bill Emmott,
ex-direttore dell’Economist, ha scritto che lo fa
sempre in ritardo e mai in anticipo. Forse, ma quest’anno
il Forum, pur tra le righe, ha confermato la preoccupazione che da tempo gli analisti
tracciano nei loro scenari: la globalizzazione è a
rischio, servono rimedi sistemici e non solo rattoppi.
L’indagine
sui rischi percepiti dalle élite globaliane
ha mostrato che quello principale non è più il
terrorismo, nemmeno il prezzo del petrolio, ma il protezionismo, in
correlazione con la paura del crollo del dollaro. Ciò indica che la
preoccupazione non riguarda solo il fatto che i negoziati presso
l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) si trovano in stallo da tempo. La WTO è il luogo di costruzione
tecnica del mercato globale perché lì gli Stati
nazionali negoziano gli accordi di libero scambio bilanciandoli con i loro
interessi nazionali. Il blocco di tale sistema è un pessimo segnale di
neoprotezionismo. Ma è un sintomo. La causa è che l’America,
portatrice della pressione globalizzante, non ha più
forza ordinatrice perché sta diventando troppo piccola, in
relazione ai giganti emergenti. E’ ormai piccola per imporre le regole
di “buona” globalizzazione. Resta sufficientemente
potente per sostenere la sicurezza mondiale. Infatti
le élite globali temono di meno il terrorismo ed il
prezzo del petrolio perché vedono che c’è ancora un difensore della fiducia
globale contro chi vuole minarla. E sono ottimisti nel
breve periodo perché, nonostante i guai di Bush,
l’aggressività islamica ha trovato un contrasto efficace. Ma,
in prospettiva, vedono la crisi di scala della Pax Americana che ha retto il
mondo dal 1945 in
poi. L’America non riesce più ad ordinare i poteri emergenti perché questi sono
più grossi. La
Cina vuole l’accesso al mercato globale senza
rinunciare a protezionismi ed alla concorrenza sleale sia valutaria sia
commerciale. Non vuole dare ordine al proprio sviluppo
interno, cumulando rischi di instabilità che senza correzioni la faranno
implodere tra qualche anno, devastando il globo intero. La Russia, frustrata
dall’impossibilità di siglare alleanze con gli Usa e con la Ue,
ha deciso di rifare impero appena i prezzi dell’energia sono saliti (2005) e le
hanno permesso di usarla come arma di ricatto geopolitico.
In sintesi, Mosca, Pechino, ma anche i Paesi neobolivaristi
e quelli islamici, stanno usando la loro forza
economica od energetica per costituirsi come blocchi/imperi regionali che
partecipano al mercato globale senza rispettarne le regole di equilibrio e
mantenendo modelli interni inefficienti ed autoritari. Anche se non vorranno
rompere il giocattolo globale perché ci fanno i soldi,
tuttavia aumenterà o resterà elevato il tasso di protezionismo e di concorrenza
sleale o di ricatto geoeconomico sia per difendere
modelli interni autoritari ed inefficienti sia per scopi di potenza. In tale
scenario di transizione dall’Impero agli imperi è probabile che la globalizzazione finirà per frammentazione. L’unica
soluzione realistica per evitarla è quella di dare una seconda gamba alla Pax
Americana zoppicante: integrare i mercati europeo ed americano, in prospettiva
euro e dollaro, per costituire un “nucleo occidentale” forte abbastanza sia per imporre alle
altre potenze buone regole di mercato globale sia per includere quelle
compatibili per modello democratico, Giappone, India, forse Russia (si veda www.lagrandealleanza.it ). Merkel, a nome della Ue, ha proposto a Bush una prima
convergenza euroamericana, la cui valutazione è in
agenda per il 30 aprile, con questo intento di fondo. Ma
l’America è riluttante a riconoscere la propria crisi di potenza e l’Europa non
ha ancora la coesione per tornare ad essere impero. Il punto:
capire che senza il volo dell’aquila euroamericana la
globalizzazione, ora in bilico, si dissolverà.
E la nostra ricchezza con essa.
www.carlopelanda.com