L’eliminazione
di Dadullah ripara il danno fatto da Prodi
Di
Carlo Pelanda (14-5-2007)
Casualità
della guerra o azione mirata? Non è confermato se Dadullah
sia stato ucciso perché qualcuno ha sparato nel mucchio nei combattimenti in
corso nella regione afgana dell’Helmand o a seguito
di una missione finalizzata ad eliminare il leader dei talebani
più strettamente connessi ad Al Qaida.
Ma propendo per l’azione mirata, anche finalizzata a risolvere i problemi
creati dal comportamento del governo italiano nella vicenda Mastrogiacomo
Prodi e D’Alema, il secondo più defilato, ricattarono il presidente
afgano Karzai. Se non accettava
le richieste fatte da Dadullah, in particolare il
rilascio di prigionieri, per liberare il giornalista, allora l’Italia gliela avrebbe
fatta pagare cara. Il governo Prodi è ritenuto
internazionalmente credibile sul piano della violenza ricattatoria per vie
riservate. Per esempio, quando gli ambasciatori dei Paesi impegnati nelle
missioni Onu e Nato in Afhanistan
scrissero una lettera aperta affinché Roma rispettasse gli impegni,
il nostro ministero degli Esteri accese un’azione di pesante ricatto,
pesantissima nei confronti dei Paesi meno potenti, per esempio la Romania minacciata di
fracassi se non smentiva il proprio diplomatico. Smentì. Karzai,
consultandosi con americani ed inglesi, dovete mollare
perché né lui né l’alleanza potevano rischiare il “colpo dello scorpione” da
parte di Roma in una situazione critica sul piano militare e geopolitico. Gli americani, in particolare, ricevettero il
seguente messaggio ricattatorio: se Mastrogiacomo
muore diremo che la colpa è vostra, cioè scateneremo
la piazza antiamericana italiana. Washington si preoccupò di questo, ma molto
di più delle convergenze segrete tra Roma e Teheran e
dei problemi che potevano nascere per questa via. Ma
il cedimento forzato costò a Karzai una gravissima
crisi interna, ai limiti della destabilizzazione, ed un vantaggio enorme sul
piano simbolico per il nemico talebano. Per questo
motivo il governo di Kabul ha dovuto dimostrare la capacità di vincere. Ed è il
motivo per cui ritengo l’azione mirata, una vera e
propria caccia all’uomo. Certamente sostenuta con intensità anche dagli Alleati
non solo per rinforzare l’idea che l’insorgenza talebana
sarà repressa, ma anche per segnalare all’Italia, ed alla
Francia che ha appena pagato un riscatto, che in guerra le questioni si
chiudono facendola e vincendola e non sbracando. Messaggio rilevante perché,
ricordatevi, che Fassino – per non impegnare
direttamente il governo, ma la maggioranza sì - invocò una conferenza di pace
sull’Afghanistan con il taglio richiesto da Dadullah per
dare a lui e ad Al Qaida un
segnale di riconoscimento politico. Di fronte ad una tale irresponsabilità,
anche sottolineata da Merkel
con l’espressione “noi non cediamo ai ricatti”, l’Occidente doveva dare un
segnale forte: se un nostro alleato è temporaneamente traditore il resto
dell’Alleanza è determinato, il nemico non ha scampo e non è conveniente per la
popolazione aiutarlo. Infatti l’eliminazione di Dadullah comporta il rafforzamento di Karzai
ed il ripristino della credibilità dissuasiva di Nato ed Onu
in Afghanistan. Come occidentalista sono soddisfatto,
come italiano continuo a vergognarmi di un governo traditore.
www.carlopelanda.com