La gabbia del Patto
Di Carlo Pelanda (16-1-2005)
Temo che il negoziato per la modifica del Patto di stabilità stia andando male. Per noi, per tutte le altre nazioni e per l’interesse europeo complessivo. Non sono pessimista, questo mai, anche perché ho fiducia nell’abilità negoziale del nostro governo. Ma vorrei qui ricordare, spero a nome di tanti lettori, agli altri governanti europei, alla Commissione ed alla Bce il senso politico fondamentale della questione.
Il punto è quello di difendere la fiducia dei cittadini sul fatto
che prima o poi il sistema della moneta unica e tutta l’architettura politica
che la regge sarà per loro un vantaggio e non un impoverimento. Anzi, tale
fiducia va ricostruita perché è calata, quasi dimezzata in parecchie nazioni,
stando ai rilevamenti di opinione. Perfino in Italia, caratterizzata fino a
poco tempo fa dall’anomalia dell’europeismo lirico di massa, è in caduta netta
l’idea che l’euro sia stato un buon affare. Ovviamente, qualsiasi tecnico è
consapevole del fatto che la stagnazione economica endemica nell’eurozona, che
tra i grandi Paesi solo l’Italia sta riuscendo a muovere un po’ grazie al
riformismo del governo (per esempio l’aver ridotto la disoccupazione al 7,8%
mentre in Germania sta
crescendo oltre il 9) è una
responsabilità prevalente delle singole nazioni. L’euro ed il suo sistema non
sono i responsabili diretti di un’economia europea deludente e sfiduciante. Lo
sono i singoli Stati che non riescono ad attuare riforme competitive, a
stimolare lo sviluppo. Ma, riconosciuto questo, non si può negare che la gabbia
di vincoli generati dalla formula attuale del Patto di stabilità renda quasi
impossibile, o comunque molto difficile, qualsiasi riforma di efficienza e di
sviluppo. Per tale motivo è passata la semplificazione che l’euro sia
impoverente. La giusta risposta non è, come burocrati, rigoristi ed eurolirici
fanno, quella di ripetere che l’euro non c’entra nulla con le difficoltà
economiche percepite dalla gente. Bisogna, invece, mostrare credibilmente come
l’eurosistema permetterà più lavoro, più salario, più opportunità e serenità a
tutti. In sintesi, la formula attuale delle regole europee mette in conflitto
la stabilità e la fiducia generata da una configurazione di sviluppo del
modello economico e monetario. E’ lampante che la revisione del Patto debba
mettere in priorità la ricostruzione della seconda. Ma così pare non stia
avvenendo. Jean Claude Juncker, presidente lussemburghese di turno dell’Unione,
e “Mister euro” nei prossimi due anni, ha liquidato mercoledì
scorso la proposta italiana della “regola aurea” senza nemmeno valutarne
possibili opzioni compatibili. Tale regola imporrebbe il deficit zero degli
Stati sul piano della spesa corrente. Ma lascerebbe fuori dal calcolo del
deficit valido per l’eurostabilità alcune spese di investimento permettendo
così agli Stati di sostenere con più risorse la crescita. La motivazione del
rifiuto si è basata sul timore che le nazioni usino tale finestra per
nascondere deficit cattivi, senza limiti. Ma, in realtà, non sarebbe difficile
inserire misure limitative e certificative per evitare tale rischio. Il fatto
che Juncker non abbia nemmeno voluto pensarci dimostra chiaramente una cultura
politica che difende la stabilità a scapito della fiducia. Spero che glielo
traducano: con questo atteggiamento politico, a meno che non lo cambi, non
potrà fare Mister euro. Sono poi ancor più irresponsabili quelli che stanno
valutando la possibilità di permettere alle nazioni con minor debito di
sfondare il deficit annuo. Questa è una follia sul piano della cultura tecnica:
un debito è destabilizzante quando cresce, indipendentemente dal suo volume. Il
presidente della Bce, Trichet, ha posto un veto agli sfondamenti del tetto di
deficit annuo giustificati da un debito minore (sembra). Ma difendendo quota 3%
e basta, non ha detto nulla al riguardo della qualità di tale deficit ammesso:
una cosa è sfondare per disordine, un’altra è il farlo, pur nei limiti, per
detassare o fare altre riforme stimolative. Inoltre, il parametro del 3% di
deficit venne originariamente generato calcolando una crescita del Pil del 3%
stesso più un 2% di inflazione, in relazione alla sostenibilità di un debito
medio europeo pari al 60% del Pil stesso. Con una crescita minore il limite del
3% non regge la stabilità finanziaria, quindi non è stabilizzante. E senza
qualificazione dell’eventuale deficit non è sviluppante, cioè “fiduciante”. Il
che ci riporterebbe a valutare la bontà della regola aurea che, invece, può
combinare meglio stabilità e fiducia. In generale, le proposte di riforma del
Patto che si vedono, ora, sul tavolo o sono negative sul piano della stabilità
oppure la difendono in modi rigidi a scapito della costruzione della fiducia.
Spero che questa analisi sia troppo pessimistica e che i governi abbiano in
serbo una soluzione di saggezza che combini rigore e sviluppo. Ma la situazione
consiglia di far sapere a questi, alla Bce ed alla Commissione che questa volta
non possono fare ciò che è loro riuscito nel passato: poiché la materia tecnica
è difficilissima e la stragrande maggioranza delle persone fa fatica a capirla,
allora si decide un sistema europeo che funziona al costo dell’impoverimento
della gente stessa. Basta dire che l’euro è bello, caricandolo di simboli, e
nessuno si accorge della ciofeca. Per
esempio, l’euro è nato per una priorità politica, in fretta, senza che fossero
predisposti i pilastri economici utili a sorreggerlo. Da qui è nato il
conflitto tra stabilità e sviluppo-fiducia. Ora il messaggio è semplice: questo
giochino non ve lo lasciamo più fare.