L’allarme sul ritorno della finanza derivata è strano ed immotivato

 

Di Carlo Pelanda (3-5-2011)

 

C’è allarme  per la ripresa della finanza derivata. In Europa è molto generico. In America si guarda, ma poi si lascia fare. Ciò fa sospettare che sia in Europa sia in America non abbiano la più pallida idea di come, e se, regolare la finanza derivata e che le posizioni al riguardo siano ideologiche: fiducia nel mercato comunque in America, sfiducia comunque in Europa. Chi ha ragione? Per rispondere sarà utile descrivere la finanza derivata con una semplificazione.

Rendiamo l’atto di finanziarizzazione equivalente ad un’espressione linguistica. La sequenza inizia con una cosa su cui c’è un discorso sintetizzabile in denaro. Per esempio, una casa (cosa) su cui è stato acceso un mutuo (discorso sulla cosa). La finanza derivata è assimilabile alla possibilità di fare discorsi multipli su una   cosa: un discorso sul discorso sul discorso su una cosa. Per esempio, faccio un mutuo, lo cartolarizzo e utilizzo la liquidità per farne un altro. Se non posso, erogo meno mutui. Chi compra il derivato con sottostante il mutuo lo assicura contro l’insolvenza pagando un Credit Default Swap. Questo poi, per esempio, diviene un prodotto di garanzia collaterale per un credito che finanzia un progetto, e via così all’infinito. L’iterazione di tali disocrsi permette la moltiplicazione del capitale. I punti critici sono tre: (a) che in un discorso si perda di vista la cosa (bolla); (b) che la cosa si dematerializzi interrompendo ogni discorso su di essa (crisi subprime); (c) che nessuno voglia più parlare per mancanza di fiducia nelle controparti (blocco del mercato come nel 2007-08). Il primo rischio è riducibile solo mantenendo elevata la varietà di opinioni nel mercato in modo che un numero sufficiente di operatori prudenti o “shortisti” bilanci i bollisti, e viceversa. La seconda riguarda la capacità di impacchettare cose finanziarizzate in modi tali da far vedere subito la componente marcia ed evitare che questa contamini il resto. Il successo in queste due azioni riduce il rischio di mutismo. Tutte sono autoregolazioni del mercato,  impossibile per le istituzioni sostituirsi ad esso. Se lo facessero ridurrebbero i discorsi possibili e quindi la quantità di capitale. Le crisi periodiche sono comunque inevitabili, ma anche desiderabili perché aggiornano via esperienza l’autoregolazione. Infatti i primi due rischi, e quindi il terzo, sono stati ridotti grazie alla lezione della crisi.  Per questo nulla finora è stato regolato. Per questo nulla lo sarà. I regolatori? Possono solo potenziare i prestatori di ultima istanza per attutire le crisi. Facciano questo invece di lanciare allarmi ridicoli.     

Carlo Pelanda