Finisce il ciclo del dominino occidentale sul globo, ma ne inizia un altro

 

Di Carlo Pelanda (16-10-2007)

 

 

Negli scenari è evidente l’esaurimento o l’inversione dei cicli su cui si è finora basata la ricchezza e la sicurezza dell’occidente. E’ finito l’ordine mondiale (1945 – 2005) centrato sull’America perché questa è ormai troppo piccola per reggerlo da sola. Alan Greenspan ha profetizzato la fine dell’effetto disinflazionistico della globalizzazione, quindi del periodo di grande crescita 1992 – 2007. Tale subscenario  è peggiorato dall’aumento tendenziale dei prezzi del petrolio. A ciò va aggiunto l’avvio di un ciclo neoimperiale della Cina, che per approvvigionarsi di materie prime penetra dappertutto, e quello della Russia che, pur non contro l’occidente, punta a ridurre ulteriormente la sfera di influenza statunitense. E per questo finisce il ciclo del dominio planetario del “capitalismo democratico”. Il docente israeliano Azar Gat ha scritto che l’Islam jihadista non è più il pericolo principale perché, pur potendo fare danni, mai riuscirà a sostituirsi all’occidente, mentre le meganazioni del “capitalismo autoritario” lo potranno. Siamo finiti, sarà disordine globale?

Non ancora.  In agosto l’America è “rientrata” in Asia compattando India, Giappone ed Australia per contenere Pechino. La Germania, pressata dalla nuova aggressività russa e timorosa di una crisi del potere globale statunitense, ha pilotato il riavvicinamento europeo all’America. Sarkozy si è allineato. La tendenza è di reazione, pur in ritardo, e non di resa. Si profila una nuova alleanza occidentale (G7 + India) che integri la forza ordinativa cedente dell’America. Ma mancano tre soluzioni: (a) come premere su una Cina che è intrecciata al mercato globale senza mandarlo in crisi; (b) mantenere la superiorità economica del “capitalismo democratico” minata da costi e inflazione; (c) inglobare la Russia nell’alleanza per darle “energia” e scala. Tali problemi sarebbero risolvibili se l’alleanza delle democrazie diventasse la più grande area di mercato del pianeta, con standard occidentali. La Cina dovrebbe adeguarsi per ottenerne l’accesso. La Russia avrebbe uno spazio occidentale dove collocarsi comodamente. Il “capitalismo democratico” disporrebbe di un mercato sufficientemente grande per mantenersi competitivo. Ipotesi, ma servono a stimolare i think tank italiani a definire il contributo che l’Italia potrà dare alla riorganizzazione dell’occidente. Questa rubrica segnala che la Fondazione Fare Futuro ha iniziato a farlo, lunedì scorso, mettendo insieme analisti e politici, di destra e di sinistra, a “porte chiuse” affinché se ne parlasse seriamente. Finisce un ciclo dell’occidente, ma ne comincia un altro.     

Carlo Pelanda