Momento
critico per le banche centrali
(In
bilico tra recessione ed inflazione)
Di
Carlo Pelanda (23-1-2006)
Si apre
un periodo di circa sei mesi dove sarà molto difficile per le
banche centrali sia europea sia americana determinare il giusto costo del
denaro, cioè un livello dei tassi che allo stesso tempo non impedisca la
crescita e tenga sotto controllo l’inflazione. La situazione, infatti, renderà
inevitabile il dover prendere un rischio o di inflazione
o di recessione. Verso quale dei due siamo diretti?
In
America la crescita è fortissima e ciò, oltre all’effetto del rialzo del
prezzo dei carburanti, spinge l’inflazione. Quindi
la Federal
Reserve
dovrà contenerla alzando il costo del denaro, i tassi di riferimento, al 4,5%.
Mossa che probabilmente farà il 31 gennaio, preparandosi a spingerli successivamente
fino al 4,75 o perfino al 5. Come valuterà il mercato tale tendenza. Bene in
relazione al lungo termine perché vedrebbe la determinazione
dell’autorità monetaria a combattere l’inflazione. Male in
relazione al breve-medio periodo perché un costo del denaro così
elevato disincentiverebbe i mutui, e quindi il settore delle costruzioni, e il
ricorso al credito per il consumo, cosa che potrebbe ridurre la domanda di beni
con un impatto negativo sulle imprese e sui loro valori in Borsa. Quindi se il
mercato percepirà un aumento die tassi oltre il
4,5% comincerà a posizionarsi verso una previsione
di recessione, creandola. Tale rischio non è solo per l’America, ma anche per
l’Europa la cui crescita dipende molto dall’export su quel mercato. Bernanke
– che proprio il 31 gennaio sostituirà Greenspan
- preferirà il rischio di
recessione o di inflazione? Non si può saperlo ora, ma analizzando il suo
pensiero finora espresso in pubblicazioni e dichiarazioni
si può prevedere che, diversamente da Greenspan,
preferirà il rischio di recessione a quello di inflazione.
La Bce
guidata da Trichet, pur in dubbio, è orientata a
fare la
medesima scelta anche per il fatto di averla teorizzata come modello standard di
comportamento. Con una complicazione. L’eurozona
non farà nel 2006 la crescita che si annuncia ora nei dati e che fa dire alla Bce
di star pronti a contenere l’inflazione. Quindi
la logica consiglierebbe di prendere un rischio limitato sul lato
dell’inflazione per salvare quel po’ di crescita che c’è. E
di non appesantire i mutui degli europei ed il costo degli interessi sul debito
degli Stati. Inoltre se
la Bce
alzerà i tassi dall’attuale 2,25 verso il 3%, il valore di cambio
dell’euro non scenderà sul dollaro e ciò deprimerà l’export. Ma
forse qui sta il punto: Trichet, temendo un aumento
fortissimo del petrolio, prezzato in dollari, si prepara a contrastare
l’inflazione energetica importata tenendo l’euro molto alto. Cosa
che però ucciderà la crescita. Per questo, pur nascosto alle cronache,
c’è uno scontro a fuoco tra Bce e governi che
senza export e senza possibilità di veloci riforme di efficienza
non sanno come crescere e cosa dire ai loro elettori.
In
conclusione, non me la sento di criticare i banchieri centrali alle prese con
decisioni oggettivamente difficili, ma devo segnalare che questo è un momento
storico, sia in America sia in Europa, dove è prioritaria la fiducia sulla
stabilità, cioè la crescita. Troppa gente ha
bisogno di vivere qualche anno di ottimismo per
rimettersi a posto dopo lo shock del nuovo mondo della concorrenza globale, del
terrorismo, degli scandali, ecc. Per questo preferirei due banchieri centrali
orientati a prendere un rischio, pur controllatissimo,
sul lato dell’inflazione che non su quello della recessione. Rimpiango Greenspan
che così ha fatto dal 1987, regalando al globo un ventennio di crescita,
dopotutto, senza troppa inflazione.
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