I rischi dell’aumento del costo del denaro
Di Carlo Pelanda (13-2-2006)
I lettori con un mutuo a tasso variabile non gradiranno l’orientamento della Bce di alzare il costo del denaro. Le euronazioni lo gradiranno ancor meno perché ciò aumenterà i costi di servizio del debito pubblico e toglierà denaro utile per investimenti o riduzioni delle tasse. Se fosse necessario per la stabilità finanziaria di tutta l’eurozona, allora dovremmo accettarlo. Ma è proprio tale necessità che viene messa in dubbio.
Quando si
parla di Bce è doverosa una avvertenza.
In tempi e sistemi normali sarebbe sciocco produrre
analisi sui giornali tendenti ad influenzare le scelte di una Banca centrale.
Esistono parametri tecnici precisi e un’autorità monetaria deve
essere indipendente dalla politica e dalle opinioni
proprio per rispettarli e così produrre fiducia. Ma
l’eurozona non è un sistema normale, essendo
ancora in formazione. L’economia europea è in una situazione di
anormale fragilità. Soprattutto, la moneta è comune, ma il governo
politico dell’economia non lo è. Quindi
Parliamoci
chiaro. Poco tempo fa Trichet, Presidente della Bce,
ha annunciato rialzi ulteriori del costo del denaro
per lo scopo di controllare preventivamente l’inflazione dovuta ad una
previsione di crescita forte dell’eurozona. Ma
venerdì scorso sono usciti i dati che mostrano una grave crisi dell’export
francese ed una riduzione della fiducia in Germania, pur questa in certa
ripresa. Vuol dire che è improbabile che entro il
2006 vi sia un boom nell’eurozona
se le nazioni che ne formano il 50% del Pil sono nei
guai. E con l’Italia, raggiungendo così i 2/3
dell’intero Pil continentale, che al meglio potrà
crescere dell’1,5% pare proprio difficile generare una crescita tale da
indurre inflazione per questo motivo. E sembra
che Trichet se ne sia reso conto. Ma
non ha cambiato idea, solo la motivazione: bisognerà alzare i tassi per evitare
una bolla immobiliare. In sintesi, con tutto il rispetto, è inevitabile il
sospettare che