Dollaro
e petrolio le incognite del 2006
Di
Carlo Pelanda (9-1-2006)
Gli
analisti sono impegnati ad aggiornare le previsioni degli andamenti economici globali
per il
2006 in
base ai dati più aggiornati. Questi confermano quanto si era
già proiettato mesi fa. L’economia americana continuerà a crescere,
forse più di quanto si pensava. Quella dell’eurozona
un po’ di meno, ma l’inflazione sembra essere minore di quella temuta
prospetticamente – recentemente si è assestata sul 2%, in Italia 1,9 -
e ciò fa pensare che
la Bce
non alzerà così presto il costo del denaro. Ipotesi, andando subito nelle
tasche dei lettori, che dovrebbe rassenerare tutti coloro
che pagano un mutuo a tasso variabile. In generale, nella nostra area di diretto
interesse non si vedono grandi novità che possano
modificare la tendenza stagnante, ma nemmeno tensioni che possano portare a
brutte sorprese. Tuttavia, nel resto del mercato globale
si notano movimenti che potrebbero portare a notevoli scossoni. Due
in particolare: prezzo dell’energia e valore di cambio del dollaro.
Il
sistema finanziario mondiale si regge sulla centralità del mercato statunitense
e del dollaro. Tutte le nazioni del mondo fanno una parte sostanziosa del loro Pil
attraverso le esportazioni verso l’America. Cina, Giappone e Corea del Sud
almeno il 30%, gli europei un po’ meno, ma è quella quota che aggiunge un
po’ di crescita a sistemi economici interni che tendono a stagnare. In
sintesi, il mercato interno americano regge la crescita di tutti. Ma al prezzo
di un enorme deficit commerciale, cioè di una
sproporzione tra esportazioni e di importazioni. Tale sbilanciamento deve essere
compensato finanziariamente: i dollari che escono dall’America per pagare le
merci importate devono rientrare in forma di investimento
finanziario. Se ciò avvenisse in misura
insufficiente tutto il sistema salterebbe. Da anni si teme, infatti, che salti
perché il deficit commerciale statunitense è aumentato a dismisura e ciò
richiede un rientro di capitali in dollari sempre maggiore, oggi più di
cinquanta miliardi al mese, che è una enormità. I
limiti fissati dalla teoria sono stati superati da tempo, ma il sistema non è
saltato. Anche perché le principali nazioni esportatrici
hanno interesse a mantenerlo in piedi, comprando montagne di titoli di Stato ed
obbligazionari in dollari. Ma c’è un limite
anche per questo.
La Cina
ha cumulato nelle sue riserve mille miliardi di
dollari e ciò può produrre altri
sbilanciamenti. In sintesi, c’è la sensazione che nel 2006 il nodo venga
al pettine: un crollo del dollaro – voluto o reso inevitabile - che farebbe
esportare di meno le nazioni del mondo provocando una recessione globale. Anche
in Europa. Ma l’effetto peggiore potrebbe
riverberare sul prezzo del petrolio. Questo aumenta per la domanda crescente dei
nuovi giganti industriali, Cina ed India, ed è un problema. Ma
su questa tendenza potrebbe innescarsi quella di un’attesa di caduta del
dollaro, con cui si denomina il prezzo del petrolio, innescando una spirale di
rialzo stellare. Ed è un problema più grosso. Non
si può dire ora cosa succederà. Ma è rilevante per
il lettore sapere che tale scenario sarà determinato da accordi o meno tra Usa
e Cina. Per esempio, se la seconda accetterà di rivalutare la propria moneta
ciò ridurrà il deficit commerciale americano ed il dollaro non cadrà. Ma
il punto dello scenario 2006 è che comincia ad essere evidente la migrazione
del potere mondiale dall’Atlantico al Pacifico, noi europei sempre più
irrilevanti. E poiché l’economia è determinata
dalla geopolitica, il fatto che l’Europa conti poco rende inquieti nonostante
la relativa tranquillità attuale nel nostro cortile.
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