Il mercato finanziario deve imparare a vedere meglio i rischi e dove sia il salvatore di ultima istanza

 

Di Carlo Pelanda (29-7-2005)

 

 

Nel club globale di scenaristi che questa rubrica frequenta si è recentemente rilevato che stanno calando le commesse di ricerca più raffinate da parte di istituti finanziari, pur aumentando altri tipi di committenti (energia, Stati, ecc.). I dati mostrano che gli operatori finanziari hanno perso attenzione ai rischi prospettici e che agiscono sempre di più in termini di breve periodo. Tale fenomeno riduce il fabbisogno di scenari che tentino di individuare un più ampio ventaglio di situazioni possibili, nel medio lungo termine, da cui ricavare strategie attive sia di protezione del capitale sia di influenza del mercato. Il punto: troppi attori nel sistema finanziario ritengono che in caso di grave crisi ci sia un salvatore di ultima istanza che poi ritiri su le borse, eviti gravi recessioni e collassi monetari. Anche per questo non investono sull’analisi dei pericoli prospettici e si concentrano sul ciclo di contingenza: ai grossi guai ci pensa papà. Da un lato, tale atteggiamento di rimozione del rischio e della prospettiva medio-lunga è tipico del mondo finanziario, dagli anni ’80 in poi. Ma, dall’altro, è notevolmente peggiorato dopo la strepitosa manovra fatta dal governo statunitense e da Greenspan per ricostruire la fiducia, dall’autunno del 2001 fino al 2003, scossa dalla triplice crisi dovuta alla sbolla, il terrorismo e gli scandali. Il suo effetto diseducativo è stato quello di convincere i gestori del capitale che in caso di grandi sconquassi ci sarà sempre un salvatore. Come comunicare che tale assunto non è vero, ma solo condizionale? Dirlo brutalmente significherebbe terrorizzare i risparmiatori che danno i soldi a “lungo” a degli operatori preparati solo per il “breve”, e non sarebbe cortese. Più gentile, invece, è il definire le condizioni che determinano l’esistenza di un salvatore di ultima istanza. Due: (a) il dollaro che resta moneta di riferimento globale; (b) la volontà politica americana di prendere rischi enormi di instabilità interna per salvare l’economia globale. La seconda resterà, ma è la prima condizione che la rende esercitabile. E questa si può semplificare come ritorno ad un dollaro forte e ad un suo più elevato valore di cambio. La tendenza a breve è in questa direzione, ma a medio è seriamente in dubbio anche per l’entrata della Cina come secondo pilastro del mercato globale.  Quindi, se il sistema vuole mantenere il riassicuratore di ultima istanza dovrà crearselo, alzando il dollaro, ma dovendo sfidare la legge di gravità per riuscirci. Cosa alla portata solo di una scenaristica strategica raffinata e di lungo termine a cui sarebbe suicida rinunciare.

Carlo Pelanda