Cercasi nome per la nuova
strategia globale americana
Di Carlo Pelanda (1-3-2005)
Nei think tank dell’Impero
si stanno cercando le parole che ne sintetizzino la futura strategia globale.
Il nemico sarà la Cina, ma è ancora difficile dettagliare il come – comunque un
mix tra bastone e carota – e ciò sta ritardando la “nominazione” con cui
marcare la prossima era geopolitica. Atto simbolico essenziale per costruire il
consenso nel fronte interno ed alleato. Per esempio, non si trova ancora un
termine simile a “Containment” (contenimento) che semplificò la missione di
contrasto dell’espansionismo sovietico. Nei pensatoi è motivo di orgoglio
individuare con un nome singolo il principio attivo di un concetto strategico e
con non più di due termini il ciclo storico dal primo generato, per esempio:
“contenimento” e “Guerra fredda”. La violazione di tale stile semantico segnala
che lo stratega non abbia chiaro o non possa esplicitare lo scenario. Per
inciso, questa rubrica, nel 1995, fece notare al vicedirettore dell’ufficio
scenari (Net Assessment) del Pentagono che il definire un orizzonte al 2024 in
termini di “Post-Post-Cold War” semplicemente indicava che o non sapeva o non
poteva scenarizzare. Infatti non poteva farlo apertamente perché
l’individuazione “tecnica” della Cina come il vero nemico del futuro – pur
ispirando una pianificazione riservata a lungo termine – contrastava con la
politica di un Clinton sedotto dalla generosità di Pechino. Dopo il 2000 la
priorità di gestire l’offensiva jihadista sviò l’attenzione. Ma non del tutto.
Inintenzionalmente, la sub-era della “Guerra al terrore” generata dalla
strategia di “democratizzazione” fu un concetto rivelatosi utile anche per nemicizzare
la Cina. Più intenzionalmente, l’azione in Afghanistan fu calibrata anche per
un dominio dell’Asia centrale con scopi di compressione futura di Pechino e di
pressione su Mosca (motivo della furia di Putin). Ma ora serve una
simbolizzazione più mirata sulla Cina. “Contenimento” non va perché Pechino non
persegue espansionismi diretti, Taiwan a parte, ma espulsioni graduali del
potere americano dal Pacifico, Asia ed Europa. Evitabili con una controffensiva
finalizzata sia a cambiare il sistema politico interno cinese sia a determinare
una coalizione di nazioni alleate per circondare e pressare la Cina.
“Democratizzazione” pare perfetto. Legittima movimenti rivoluzionari interni,
crea un confine forte globale tra area democratica e no. Ma è nome difficile. E
promette una cacofonia per le due parole con cui designare la nuova era
generata da tale strategia. Soluzioni? La brevità imperiale romana suggerirebbe
di sintetizzare il tutto in due parole e non tre: “Active Democracy”.
Carlo Pelanda