Bernanke inizia il mandato in una situazione dove è
alto il rischio di fare un errore recessivo
Di
Carlo Pelanda (1-11-2005)
Alan Greenspan
lascerà la Fed
nel momento peggiore. Nel gennaio del 2006 questa dovrà prendere una
decisione difficilissima: (a) o gettare in recessione l’economia
statunitense per contenere l’inflazione; (b) oppure non farlo, ma
così rischiando di farla esplodere. Il punto dello scenario non è
l’errore di per se, ma uno che mini la
credibilità della Fed proprio all’inizio del mandato di Bernanke. La fiducia nella Fed è da più di un
decennio il pilastro che sostiene quella globale. Greenspan
la ha costruita in un modo tutto suo: non evitando errori, ma facendone di un
tipo che non ha causato recessioni troppo pesanti. Per esempio, nella crisi
finanziaria mondiale del 1997-98 inondò di liquidità il mercato
interno americano, mandandolo in ipercrescita, e grazie a questo
ricapitalizzò il pianeta a rischio di deflazione. Esagerò,
inducendo un rigonfiamento abnorme della bolla borsistica in atto dal 1996.
Sbagliò anche nel modo violento con cui cercò di sgonfiarla dal
2000 al 2001. Ma tale errore fu nascosto dalla caduta dei valori finanziari
imputata all’attentato dell’11/9. E dalla successiva abilità
nell’usare lo stimolo monetario per ricostruire la fiducia. In sintesi: la Fed sbaglia, ma ti evita la
recessione. Questa è la sua base di credibilità ricostruita dopo
il 1987 quando fece un errore recessivo. Ora c’è pericolo che lo
rifaccia, per ambiguità della situazione e cambio della gestione.
L’inflazione strutturale resta bassa, ma quella energetica è
crescente. Le Borse sono ai massimi, la bolla dei mutui è enorme, come
quella del debito privato, ed il rialzo eccessivo del costo del denaro potrebbe
togliere risorse ai consumi generando una recessione ed una contrazione dei
valori azionari con conseguenze globali. Qual è il giusto tasso per
contenere l’inflazione ed evitare la recessione? La teoria suggerisce il
4,5%. Ma è carta. Al 4, dal 3,75% odierno, il mercato potrebbe
aspettarsi il 5 ed oltre e ritirarsi creando il crack. Il 4,5% potrebbe non
avere effetto sull’inflazione costringendo la Fed ad una disinflazione
violentissima. E Bernanke ha lasciato trapelare una
preferenza per la predeterminazione dell’inflazione accettabile che
comunica al mercato, diversamente da Greenspan, una
propensione per la correzione recessiva. Sarebbe meglio che Greenspan,
in uscita, rischiasse l’errore sul lato dell’inflazione,
comunicando uno stop dei tassi al 4,25, lasciando poi a Bernanke,
in entrata, il compito di correggerlo. Il secondo più gestibile per
situazione meno ambigua. Così la
Fed manterrebbe la credibilità qualunque cosa succeda.
Ma vorrà Greenspan sacrificarsi?
Carlo Pelanda