Memo per i votanti su come è nata dove è ed andrà l’eurozona
Di Carlo Pelanda (11-6-2004)
Bignami per l’eurovoto. Nel
1989 la Francia ebbe paura che la Germania riunificata potesse diventare il
potere singolo europeo. Segnalò alla seconda: te lo lascio fare se conferirai
la sovranità monetaria ad un sistema europeo su cui comanderemo insieme.
Mitterand visitò Berlino-Est due mesi prima del crollo proprio per ribadire
tale condizione. La Germania cedette e siglò un Trattato di Maastricht (1992)
ispirato da tre interessi di Parigi, pur eurocosmetizzati: inscatolare Berlino;
blindare la diarchia franco-tedesca; arginare l’influenza statunitense. Poi ne
emerse un quarto per ambedue: dal 1992 il marco fu alzato per reggere i costi
della riunificazione mettendo in crisi tutte le altre monete del sistema
europeo. La loro svalutazione competitiva portò a far perdere Pil ed
occupazione alla Germania ed alla Francia che ne seguiva la politica di cambio.
Così i diarchi, nel settembre 1996, convennero che fosse urgente eliminare la
concorrenza valutaria intraeuropea accelerando l’unione monetaria. L’impero
franco-tedesco è riuscito ad imporla, ma non a generare un governo economico
dell’eurozona. La Francia tentò di farlo, nel 1997 ad Amsterdam, ma la Germania
(ed il Regno Unito) si opposero. E per questo si dovette trovare un sostituto
all’assenza di governo: un automa tagliadeficit (Patto) ed una Bce
esageratamente deflazionista. Tale architettura è una mostruosità tecnica
perché, stabilizzata solo con restrizioni, soffoca l’economia. Dal 1999 al 2002
l’effetto impoverente dell’euro così mal disegnato è stato bilanciato dalla
svalutazione competitiva, e relativo boom dell’export, nei confronti del
dollaro. Ma, finita questa, la combinazione tra eurovincoli ed inefficienza
interna dei modelli nazionali sta svelando l’insostenibilità di un progetto che
ha privilegiato interessi imperiali sulla fattibilità e, per giunta, si è perso
l’impero per strada. Quali le alternative di aggiustamento? Quattro, in teoria:
(a) ricostruire un nucleo di governo europeo; (b) dare flessibilità al Patto;
(c) forzare le riforme di efficienza interne contro il protezionismo sociale;
(d) svalutare l’euro. In pratica: al momento è in corso la seconda, ma ha un
limite stretto; la prima non è più possibile in forma diarchica; la quarta è
remota, la terza ha spazi minimi. Cosa faranno i governi senza alternative?
Probabilmente le mixeranno: un più ampio direttorio economico che legittimi
un’estensione dei limiti di flessibilità, cioè di deficit, per galleggiare fino
a quando sarà possibile la salvifica svalutazione competitiva. Nel frattempo
diventeremo “potenza etica”. Andate a votare, ma senza ridere.
Carlo Pelanda