Alla società liberale manca
un progetto ma il darglielo le toglierebbe libertà
Di Carlo Pelanda (11-4-2004)
Che l’evoluzione delle
società abbia una direzione è materia controversa. Tra i sociologi, per
esempio, Gallino ritiene che ce ne sia una costante verso il progresso,
Granovetter no perché vi vede un alto grado di casualità e reversibilità. In
generale, le diverse scienze sociali fanno molta fatica ad integrare casualità
e direzionalità nell’analisi degli affari umani. Ciò dipende anche dalla settorializzazione
disciplinare che porta a spiegare il mutamento con un numero di concause
inferiore a quello in atto nella realtà. Se si ricorre alla teoria dei sistemi
per gestire meglio la complessità multifattoriale la si trova inadeguata. Non
distingue bene, infatti: tra sistemi “evolutivi”, controllati da un programma
finalistico, ed “evoluzionistici”, che variano senza direzioni precisabili; tra processi auto-organizzativi
“chiudenti” che rendono coerente un sistema e interazioni molto più lasche – “aperte”
- tra una popolazione di essi. Pesa, inoltre, la mancanza di un modello
consolidato di evoluzione in biologia a cui fare riferimento. L’analisi storica
fa intuire il mix tra direzione e caso, ma non lo precisa come modello. Il
trasferimento alla società del concetto di direzionalità in fisica, in forma di
termodinamica generalizzata, offre matematiche potenti, ma corrispondenze che
lo sono molto meno. Perché tali attenzioni? Nel think tank che questa rubrica
frequenta è emerso l’interesse a capire se la società liberale-occidentale sia
sostenuta da un forte direzione storica o meno in quanto si notano i primi
sintomi di sua degenerazione. La “rivoluzione democratica”, intesa come
trasferimento di poteri dai pochi ai molti, sta scemando e sta tornando la
selettività sociale dei modelli aristocratici. Per esempio, la distanza tra
nuove èlite e classe media è crescente ed assimilabile a quella tra principe e
contadino del passato. In generale, si osserva che: in alto, le èlite non
spingono la democratizzazione, innovandola, e si infeudano; in basso, il più
della gente interpreta la libertà come diritto a non fare, dando così una
configurazione passiva al sistema. Alternative di scenario: (a) l’evoluzione
della società liberaldemocratica è retta da una direzione così forte da
permetterle di autocorreggere i momenti di stanca; (b) è reversibile e quindi
va riformulato ed applicato un progetto per tenerla sul binario. Poiché mancano
le conoscenze per decidere razionalmente, va scelta, per prudenza, la seconda opzione.
Ma dare un progetto direzionale al liberalismo significa violare il suo
principio di libertà. Dilemma, c’è qualcuno che possa aiutare a
scioglierlo?
Carlo Pelanda