Folgorazioni sulla via Damasco potrebbero illuminare una mappa ancora oscura

Di Carlo Pelanda (7-6-2003)

 

Road Map 2. Sta pensandola il ramo israeliano della rete di think tank occidentalisti che questa rubrica frequenta. Per sostituirla, o sovrapporla, alla "Road Map 1" ritenuta troppo esposta al rischio di fallimento. Il punto critico, infatti, è il requisito di mancanza di attentati, e quindi di rappresaglie, per un certo periodo. Potrebbe diventare un regalo ai terroristi: con un solo colpo ben piazzato, cioè a minimo costo, farebbero saltare il processo di pace. Tale problema sarebbe ridotto se vi fosse una leadership palestinese univoca e credibile nel voler la fine delle ostilità. Ma fino a che Arafat non verrà pensionato tale credibilità non potrà esistere. Quindi la combinazione tra permanenza di Arafat e l’impossibilità tecnica di portare a zero il rischio di attentati è vista come un impedimento formidabile. Ovviamente il problema è noto agli americani. Si rifiutano di considerare Arafat come interlocutore. Si sono impegnati ad eliminare (Iraq) o a tenere sotto controllo i nemici di Israele che fomentano dall’esterno la guerriglia palestinese (Iran, Siria, sauditi); ecc. Ma Arafat è ancora lì, Siria e Iran, anche se calmierati, pure. Poniamo che per un po’ le cose vadano bene, ma che poi qualcuno uccida Abu Mazen o che vi sia una terribile sequenza di attentati contro Israele che costringa Sharon alle dimissioni. In tali casi la "Road Map 1" verrebbe interrotta da frane nonostante l’enorme e lodevole impegno ordinatore americano. Soluzioni? Una seconda variante che non ponga termini temporali rigidi, e quindi bersagli facili ai sabotatori, all’accordo tra israeliani e palestinesi e che metta, invece, in priorità il trattato di pace tra Siria ed Israele. E, soprattutto, la fine del dominio della prima sul Libano. Così Israele resterebbe attorniata da Stati che ne riconoscono il diritto di esistenza e con cui potrebbe cominciare a fare affari, di cui tutti nella regione hanno bisogno, usando anche il raccordo terrestre con la Turchia attraverso un Libano bonificato. In tal modo l’area problematica si ridurrebbe alla sola Cisgiordiania e Gaza, il resto dei Paesi arabi amicizzati o controllati dagli Usa. In tale scenario la questione palestinese diventerebbe un problema – in relazione alla criticità attuale - minore e risolvibile in tempi "naturali" e modi meno vulnerabili ad incidenti di percorso. Questa idea dei colleghi israeliani colpisce. E’ realistica? La Siria cerca disperatamente vantaggi economici e pare pronta a scambi. La via di Damasco, raccordo terrestre con New Bagdad, è molto più rilevante per Israele che non, ormai, le alture del Golan. C’è luce, e non da oggi, su questa seconda via.