Il problema dell’Impero non è l’Iraq ma il fatto che da
questo caso tutti hanno appreso che per trattare con gli Usa devono avere la
bomba
Di Carlo Pelanda (4-11-2003)
Le cronache si concentrano sui problemi di stabilizzazione dell’Iraq e sui
dubbi relativi alla sua gestione. Ma nei think tank occidentalisti più tecnici
non c’è analoga preoccupazione o critica. La conduzione delle operazioni sia
militari sia politiche mostra di saper correggere gli errori in tempi piuttosto
brevi. Proiettando tale capacità di apprendimento e combinandola con le risorse
a disposizione dell’Impero in relazione al fabbisogno, lo scenario mostra
un’alta probabilità di successo. Quella di fallimento dipende quasi
esclusivamente dal verificarsi di un dissenso interno che toglierebbe
all’Amministrazione le risorse per continuare l’azione, come già successo in
Vietnam (1973), Libano (1982) e Somalia (1993). Solo l’America, cioè, può
sconfiggere se stessa trasformando in perdita di coesione interna gli atti
offensivi dei nemici. Che puntano proprio a tale effetto. Ma l’Amministrazione
Bush lo sta evitando e quindi le probabilità restano favorevoli. Infatti non è
questo il timore degli scenaristi. Lo è, invece, un nuovo sviluppo di un
vecchio problema: tutti i regimi che hanno qualche grande o piccola divergenza
con l’America hanno realizzato che per risolverla devono dotarsi, in fretta, di
armamenti nucleari per controdissuaderla. La Corea del Nord ha costruito bombe
e lanciatori intercontinentali e per questo costretto gli Usa al negoziato.
L’esempio sta spingendo Iran, sauditi, libici ed altri a fare lo stesso. La
tendenza era già in atto, ma il recente attivismo ordinatore dell’Impero la ha
rafforzata ed accelerata. Pertanto sta prendendo probabilità uno scenario dove
l’Impero resterà bloccato dal potenziale nucleare altrui. Che potrebbe
riverberare su quello di stabilizzazione prospettica dell’Iraq, annullandone
l’effetto sistemico. Con la complicazione che sarà molto difficile contenere
tale corsa al nucleare con politiche antiproliferative “morbide”. Se ciò verrà
confermato, allora si dovrà necessariamente ripristinare una dissuasione
nucleare da parte occidentale, dimostrando di poter e voler usare per primi le
bombe atomiche per azioni preventive. Gli scenaristi tecnici stanno analizzando
le implicazioni sul piano dei mezzi: serviranno nuove microbombe nucleari
distruttive, ma non devastanti, per renderle impiegabili. Quelli politici hanno
notato che la Francia è piuttosto avanzata in tale sviluppo tecnico, segno che
la tendenza qui abbozzata la preoccupa. Ciò fa ipotizzare una - oggi, ma non
domani - sorprendente convergenza euroamericana sulla neodissuasione nucleare.
Eventualità auspicabile perché senza un consenso intraoccidentale non potrà
essere applicata.
Carlo Pelanda