La trasformazione della guerra preventiva in guerra di democratizzazione per dotare il riordinamento globale di più consenso

Di Carlo Pelanda (22-3-2003)

 

Agli inizi del 2002 molti analisti avvertirono l’amministrazione statunitense che le dottrine della guerra preventiva e quella della coalizione dei volonterosi, a quel tempo in formazione, erano vulnerabili sul piano simbolico. E raccomandarono la co-evoluzione di una nuova teoria ombrello "morale - istituzionale" che le sostenesse meglio sul piano comunicativo. Tale suggerimento fu banalizzato dai militari come semplice necessità di migliorare la propaganda o condizionare i media globali. Questa opzione fu poi, saggiamente, abbandonata. Ma neppure emerse una strategia di gestione simbolica adeguata dell’azione di riordinamento complessivo del sistema globale. Anche perché prevalse nell’amministrazione la strana idea che il male ed il bene fossero autoevidenti e che bastasse essere chiaramente guerrieri in nome del secondo per evitare di essere confusi come portatori del primo. Che portò ad una sconfitta dell’Impero sul piano del consenso. Grave perché diede alle nazioni interessate a contenere la potenza americana l’idea di osare di più in quanto avrebbero potuto contare su un antiamericanismo di massa sotto l’ombrello del pacifismo. Ora l’errore è stato riconosciuto dai pensatori più raffinati dell’amministrazione e si riapre la ricerca di come correggerlo. In due fasi. La prima ha, ormai, una sola alternativa: la dimostrazione del successo pieno della bonifica dell’Iraq – e delle sue conseguenze stabilizzanti – per ottenere più consenso in base al tipico fenomeno sia popolare sia politico di soccorso ai vincitori. Tale risultato richiede solo la giusta proiezione di potenza per il controllo dei teatri e così ridicolizzare gli euroasiatici e miscellanea pacifista come, semplicemente, antiamericani. Ma il secondo passo di costruzione della "superiorità morale" ha più opzioni. Che potrebbero far ricadere gli Usa in errori di gestione simbolica, per esempio sviluppando una coalizione del bene fuori dall’Onu. Per evitarli bisognerebbe, invece, proiettare la massima potenza anche entro l’Onu. Non cambiandone la carta fondamentale, difficile sul piano tecnico, ma aggiungendo nuove funzioni. Per esempio, un "Consiglio" autoconvocato i cui Stati membri possono essere solo democrazie compiute che si impegnano solennemente a democratizzare il resto del mondo e che si riservano il diritto di sanzione, anche militare, contro le dittature. La maggioranza di tale Consiglio sarebbe pro-occidentale e toglierebbe a quella euroasiatica del Consiglio di sicurezza la legittimità della bandiera Onu. Così le prossime azioni di ordinamento globale sarebbero moralizzate come "guerre di democratizzazione". Suona meglio.