La nuova economia non morirà
Internet: adesso sarebbe sciocco gettare via il bambino con l’acqua sporca
(titolo originale)
Di Carlo Pelanda (No. 25 giugno 2000)
Dopo circa due anni di eccesso di entusiasmo per la “Internet economy” si è passati all’eccesso opposto. Il nuovo clima di sfiducia verso questa area tecnologica sta provocando un riesame forse eccessivamente severo delle sue prospettive di sviluppo futuro. Alcuni cominciano a dire, per esempio, che lo e-commerce è una bufala, che le aziende operanti sulla rete falliranno e cose del genere. Sembra un buon momento per analizzare il fenomeno con equilibrio e sobrietà, separando il mito – in un senso o nell’altro – dalla realtà. Il modo migliore è quello di ricapitolare cosa è successo.
Tra il 1995
ed il 1997 il mercato si è accorto che Internet aveva la capacità di modificare
sostanzialmente i processi economici in quattro direzioni espansive: (a) un
mercato più grande; (b) un nuovo modo di operare degli scambi; (c) un aumento
dell’efficienza dei processi produttivi grazie alla possibilità di usare più e
meglio l’informazione (per esempio il rapporto continuo in rete con i clienti
permette ad un’impresa, piccola o grande, di ridurre le scorte di magazzino e
relativi costi); (d) la nascita di un settore totalmente nuovo in forma di
aziende che offrono servizi su e via Internet. Così ha scontato in anticipo ed
entusiasticamente tali prospettive finanziando in Borsa a piene mani i primi
che tentavano l’avventura su Internet e i settori da questa trainati
(telefonici, media, computer e server, produttori di software, ecc.). Va subito
detto che il mercato ha compiuto un’analisi corretta e che resta ancora valida.
Ma, in particolare dal 1998, su questa promessa razionale di decollo della
novità si sono inseriti degli eccessi speculativi.
Esempi. Gli
speculatori hanno percepito l’entusiasmo al riguardo di Internet e, visto che
era altissima la probabilità di crescita dei valori azionari collegati, non ha
esitato a prendere soldi a prestito e ad usarli per comprare azioni del
cosiddetto triangolo Tmt (tecnologici, media e telecomunicazioni). Dal
settembre 1999 al febbraio 2000 ben 236 miliardi di dollari (più di
cinquecentomila miliardi di lire) sono stati mobilitati in tal modo e riversati
sul Nasdaq. Il cui indice è salito dell’88%. Gli europei, osservando tale
cuccagna in America, l’hanno velocemente replicata in casa. Il tutto ha creato una spaventosa bolla
borsistica, cioè una sopravvalutazione dei titoli oltre qualsiasi misura
razionale. Tale fenomeno è stato ulteriormente amplificato da altri giochini
speculativi. Per esempio, quoto una nuova azienda Internet le cui azioni, per i
motivi di entusiasmo detti sopra, so che tutti vogliono comprare senza neanche
guardare di cosa esattamente si tratti. Tengo il controllo del più delle azioni
e ne metto sul mercato poche. E faccio in modo che queste poche siano scambiate
sempre al rialzo, fino, per dire, a ragiungere crescite del 1000%. Ad un certo
punto vendo il grosso, incasso, me ne vado. E l’azienda “reale”? Dieci persone,
una stanza, qualche computer ed una capitalizzazione magari superiore a quella
della Fiat. Follia. Ed infatti ad un certo punto qualcuno – da marzo in poi -
si è accorto che ormai si era superato qualsiasi buon senso, che c’era troppa acqua
sporca. In poche settimane la bolla si è sgonfiata ed i titoli Tmt, in tutto il
mondo, hanno perso circa la metà del valore conquistato negli ultimi mesi.
Adesso il problema è che la crisi di fiducia sui valori azionari e sulle
promesse della Internet economy sta
andando troppo oltre. Se, da una parte, è giusto (e sano) che la bolla si sia
sgonfiata, dall’altra restano inalterate, anzi confermate, le buone prospettive
del settore.
Le
connessioni in rete stanno aumentando vertiginosamente nel mondo (e l’Italia
sta recuperando con sorprendente velocità il ritardo che aveva nel passato). Si
comincia a capire meglio quale sia il miglior uso della rete. Per esempio, la
possibilità del commercio di merci generiche on line appare molto più limitata
di quanto gli analisti prevedevano. Ma l’uso della rete negli scambi
commerciali tra imprese (business to business o “B2B”) mostra sviluppi sorprendenti ed imprevisti.
In sintesi, la Internet Economy “reale” sta finendo il suo svezzamento e solo
ora mostra cosa saprà fare da grande. Moltissimo. In particolare, si sta
confermando il fenomeno – già anticipato in queste pagine – che tutta la “old
economy” sta diventando “new”. E ciò aumenterà la capacità competitiva dei
settori tradizionali (scarpe, sedie, mobili, ecc.). In conclusione, avremo una
forte espansione non solo di aziende specializzate in operazioni Internet, ma
anche di tutto il resto che dovrà per forza e per vantaggio operare in rete. Il
che lascia ipotizzare una sinergia espansiva formidabile tra vecchio e nuovo.
Quindi sarebbe sciocco, dopo l’eccesso di entusiasmo, cadere in un altrettanto
irrazionale pessimismo al riguardo della rete.