L’Europa dei sogni irrealizzabili
Di Carlo Pelanda (28-3-2000) (No. 15, aprile)
Apparentemente il vertice europeo di Lisbona del 23-24 marzo scorsi è stato come tanti altri del genere: impegni roboanti, ma poca sostanza. In realtà, questa volta c’è stato qualcosa di nuovo. I governi europei hanno finalmente deciso di competere con gli Stati Uniti sul piano che vede i primi estremamente più arretrati dei secondi nella capacità di produrre ricchezza ed occupazione. Evidentemente si è affermata l’idea che l’Europa non può andare avanti con meno della metà della crescita americana e più del doppio di disoccupati come è successo negli ultimi cinque anni. E non solo. Il documento finale di Lisbona, infatti, formalizza l’impegno degli eurogoverni di portare la UE ad essere il luogo più avanzato del pianeta per crescita, ricchezza e modernità nel prossimo futuro. E tale programma fa nascere immediatamente una curiosità: l’Europa copierà il modello americano (poco assistenzialismo, molta tecnologia e piena liberalizzazione) oppure no? Vediamo.
La dichiarazione di Lisbona definisce dei passi insolitamente
precisi (sul piano delle date e delle misure) per lo sviluppo veloce
dell’economia basata sulla tecnologia dell’informazione. Per esempio, entro il
2003, la realizzazione di una legge quadro europea per regolare il settore di
Internet e dello e-commerce, incentivi propulsivi per il lancio di nuove
aziende del settore e costruzione delle infrastrutture informatiche più
avanzate in breve tempo e dappertutto. Rilevante è l’impegno per
l’alfabetizzazione informatica nei programmi scolastici. Tuttavia è molto più
vaga la determinazione nel voler praticare la strada delle liberalizzazioni (la
Francia si à dichiarata contraria alla privatizzazione dell’energia e delle ferrovie)
e quella che porta alla riforma di efficienza dello Stato sociale nonché della
riduzione dei carichi fiscali. Il punto cruciale di una maggiore flessibilità
del mercato del lavoro – il vero motore dell’enorme sviluppo in America – è stato trattato in modi velati e
balbettanti. In sintesi, i governi
europei pensano che si possa creare crescita e modernità investendo molto nelle
nuove tecnologie, ma modificando più lentamente e non a fondo il modello
statalista che caratterizza la maggior parte dei paesi del Continente. Sembra
quasi che l’Europa voglia muoversi su un modello “mezzo americano” per poter
diventare due volte più ricca e potente dell’America entro il 2010 (stando alle
dichiarazioni). Più seriamente, è interessante notare che i governi europei si
siano ormai convinti della superiorità economica del modello statunitense, ma
che non possano e non vogliano (anche perché di sinistra quelli dei paesi più
importanti, Francia, Germania ed Italia) mollare alcuni capisaldi del
socialstatalismo che notoriamente deprimono i potenziali di crescita. E ciò fa
nascere la domanda: se uno vuole essere come l’America può essere tanto diverso
dall’America stessa? Nel vertice di Lisbona i governi hanno giurato di sì.
Infatti – negli interventi - si sono dati l’obbiettivo ambiziosisimo di far
crescere il Pil del 3% medio ogni anno nei prossimi dieci anni e di creare 30
milioni di nuovi posti di lavoro pur riformandosi in direzione di un modello
solo “mezzo americano”. Ma poi, nel comunicato finale, pur mantenendo cifre ed
impegno, hanno sfumato le date del programma. Segno che qualche dubbio sul
fatto che solo mezzo modo americano possa avere più successo del modello
originario deve essere loro venuto. Ma, nonostante questa buffa correzione in
extremis, resta il progetto di rendere l’Europa numero uno mondiale. Quanto
sono realistici gli europei?
Francamente, per il momento, pochino. E’ vero che gli investimenti
nelle nuove tecnologie e nella Internet economy, abbinati a grandi programmi
educativi e di formazione continua in tale materia, hanno la capacità di creare
e sostenere un boom occupazionale e di espansione del mercato. Ma è altrettanto
vero che per ottenere tale effetto la rivoluzione tecnologica deve basarsi su
un substrato di mercato efficiente: poche tasse (almeno metà delle attuali
nell’eurozona), piena libera concorrenza, totale flessibilità del mercato del
lavoro, liberalizzazione totale senza alcun settore industriale protetto o in
mano allo Stato. E se non si cambia tale substrato sarà ben difficile
sviluppare tutto il potenziale della nuova economia. Quindi va definita come
un’illusione l’idea espressa a Lisbona che Internet possa creare ricchezza
senza toccare troppo i pesi di modello politico che l’hanno finora depressa in
Europa. Ma, detto questo, consiglierei i lettori di apprezzare comunque la
svolta di Lisbona. E’ un segno di almeno “mezzo realismo”, o almeno mezzo
arrendersi all’evidenza della realtà, dopo tanti anni in cui le sinistre
europee dicevano che il modello americano liberalizzato era inaccettabile per
poca socialità e che l’Europa andava bene così, senza dover toccare nulla. Per
l’altra metà dovremo attendere il momento in cui i paesi chiave dell’Europa
saranno governati da forze veramente liberalizzanti. Quando ciò avverrà – e se -
sarà molto più realistica l’ambizione
di poter mettere in competizione un modello europeo capace di superare quello
dei cugini di oltreoceano.