Serve un accordo tra euro e dollaro


Di Carlo Pelanda (21-9-2015)

La decisione della Banca centrale statunitense (Fed) di rinviare senza un termine chiaro il rialzo del costo del denaro riduce la competitività dell’euro che facilita le esportazioni, le importazioni di flussi turistici e investimenti industriali dalle aree non-euro, fattori chiave per la ripresa in Italia. Se i tassi del dollaro restano a zero il flusso globale dei capitali avrà meno motivi per comprarlo, rialzando l’euro. Finora lo stimolo principale alla ripresa è stato dato proprio dalla svalutazione dell’euro che è il risultato indiretto, ma perseguito esplicitamente, del programma Bce di reflazione non convenzionale dell’Eurozona. Da un lato, più export combinato alla maggiore fiducia sull’euro e sul debito italiano grazie alla garanzia di fatto della Bce, ha cominciato a muovere i consumi interni. Dall’altro, senza un sostegno straordinario della competitività valutaria al ciclo economico nazionale c’è il rischio di una sua contrazione perché le leve interne (investimenti, detassazione, riparazione del credito) sono ancora deboli. La maggior parte degli analisti non sta ancora valutando questo rischio per l’Italia (e per l’Eurozona) perché ritiene che la Fed abbia solo rinviato di qualche mese il rialzo dei tassi, e quindi del dollaro. Io non ne sarei così sicuro perché le condizioni di incertezza che hanno suggerito alla Fed di congelare il rialzo dureranno a lungo: instabilità e minore crescita della Cina con impatto sulla domanda globale, conseguente crisi dei Paesi esportatori di materie prime, situazione paradossale dell’economia statunitense in bilico tra deflazione e inflazione, vulnerabilità al rialzo del dollaro di nazioni ed aziende nel mondo indebitate in dollari per quasi novemila miliardi complessivi, ecc. Infatti molti economisti prevedono una recessione globale tra il 2016 ed il 2018. Io penso che se l’Eurozona sarà in ripresa farà da locomotiva per il globo riducendo o evitando tale crisi. Per crescere, l’eurosistema ha bisogno di aumentare l’export, sostenuto da una temporanea supersvalutazione contro dollaro e monete collegate. La Fed, tuttavia, non è incline a concederla. La Bce ha dato segnali che è pronta ad aumentare la reflazione e conseguentemente la svalutazione dell’euro proprio per evitare il ritorno della recessione nell’Eurozona. Ma una divergenza tra Bce e Fed potrebbe destabilizzare il globo e, semplificando, spazzare via l’Italia. Pertanto ritengo urgente che Fed e Bce si parlino per trovare un accordo sul cambio e di gestione congiunta del rischio globale, in ambiente G7 dove l’Italia ha rilievo.

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