L’Italia cerca di sopravvivere alla cura tedesca

 

Di Carlo Pelanda (9-1-2012)

 

Posizione della Germania:  prima ogni nazione metta in pareggio il bilancio e riduca il debito pubblico fino al 60% del Pil  e solo poi Berlino potrà valutare la creazione di meccanismi europeizzati di garanzia finanziaria, per esempio gli eurobond. Tale posizione non ha alcun senso economico in quanto le euronazioni in difficoltà hanno bisogno dell’esatto contrario: far garantire dall’Europa il proprio debito per ridurne i costi di rifinanziamento e quindi spostare più risorse verso lo sviluppo in modo da perseguire il pareggio di bilancio e la riduzione dei debiti via più crescita futura. Se ad una nazione nei guai si impone un rigore eccessivo, allora è certo che cadrà in una spirale di decrescita, cioè di impoverimento, che alla fine porterà il suo debito all’insolvenza. La cura tedesca applicata alla Grecia ha portato esattamente a questo risultato: caduta del Pil, impoverimento rapido della popolazione, insolvenza del debito anche se ancora non formalizzata. La cura, poi, ha creato il contagio di sfiducia verso i debiti di altri tra cui il nostro perché il mercato ha visto che  l’euromedico uccideva il paziente invece di guarirlo ed ha proiettato questo scenario ad altri ammalati. L’Italia deve al metodo terapeutico tedesco non tanto la propria bronchite, autoinflitta per disordine proprio, ma la sua trasformazione in polmonite grave. Tremonti non capì o non volle credere che la Germania fosse così folle e che l’Unione Europea fosse così debole da non riuscire a costringere Berlino a modificare i propri diktat. Infatti fino all’estate 2011 volle insistere sugli eurobond, in effetti una cura efficace, senza attivare una politica di rigore più pesante, contando sul sostegno francese. Ma Sarkozy preferì appiattirsi sulla Germania. Tremonti –  percepito all’estero come il vero Primo ministro  - fu sostituito per ordine della Germania, la Francia accodata, allo scopo di avere in Italia un governo che applicasse la cura tedesca. Ciò fu eseguito con riluttante rapidità dal Quirinale perché il mercato non stava valutando l’irrazionalità della cura tedesca, ma la distanza delle euronazioni dalla Germania come grado di affidabilità, con rischio ravvicinato di insolvenza per l’Italia e sua imputazione per la dissoluzione dell’euro. Per questo Monti ha dovuto applicare la cura tedesca, il salasso, per evitare la catastrofe, al momento riuscendoci. Ma ora deve evitare all’Italia il destino della Grecia. La buona notizia è che lo sta tentando con determinazione. Quella cattiva è che Merkel non appare disposta a mollare. Le sue argomentazioni sono che l’elettorato tedesco mai accetterebbe di versare un soldo tedesco per aiutare le cicale, che la Corte costituzionale tedesca vieterebbe di mettere a rischio soldi pubblici tedeschi, che nella sua maggioranza cresce il gruppo anti-euro e che questa è comunque risicata. E aggiunge che l’unica cosa che potrà fare sarà quella di dimostrare ai suoi che le altre euronazioni hanno accettato di parlare tedesco e che per questo la Germania potrà essere più europea, ma solo dopo le elezioni del 2013 e non prima. Difficilmente Monti potrà far cambiare idea a Merkel. Cosa potrà fare, allora? L’Italia entrerebbe certamente in uno scenario greco se fosse applicata la pretesa tedesca di ridurre ogni anno di un ventesimo la parte di debito eccedente il 60% del Pil. Poiché il nostro debito è al 120% del Pil ciò significherebbe ogni anno tirar fuori decine di miliardi. Infattibile. Su questo punto anche la Germania capisce che qualcosa dovrà mollare. Questa, al momento, sembra la nostra unica speranza nell’Europa germanizzata.

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