Il rischio di impoverimento per eccesso di rigore


Di Carlo Pelanda (8-8-2011)

La Bce, su pressione della Germania, ha imposto al governo italiano di anticipare il pareggio di bilancio al 2013 e di renderlo certo inserendo tale obbligo in Costituzione, come condizione per acquistare titoli di debito italiani allo scopo di sostenerli nella crisi di fiducia che colpisce tutti i debiti sovrani, aggravata dal declassamento di quello statunitense, in particolare quello italiano. La buona notizia è che il diktat esterno ha smosso l’inerzia del governo e ridotto il dissenso per le misure d’emergenza. Quella cattiva è che l’economia italiana rischia di subire una deflazione da rigore con impatto impoverente a causa dei tempi imposti.

Ora quasi 60 miliardi di spesa pubblica, circa il 4% del Pil, sono finanziati in deficit. Ciò significa che in due anni bisognerà ridurre la spesa di altrettanto facendo mancare all’economia questa cifra. Si prospetta un impatto pesante. Ma lo si può evitare bilanciando il minor denaro proveniente dalla spesa pubblica con più denaro privato impiegato per investimenti. Non solo si può, ma si deve. Se al rigore non corrisponde una stimolazione economica forte vi sarà una recessione che ridurrà il gettito fiscale (meno guadagni, meno tasse) rendendo più difficile il raggiungimento del pareggio di bilancio e il ritorno di fiducia sul debito italiano, cosa necessaria per contenerne il costo di rifinanziamento. L’effetto dei tagli colpirà prima che si realizzi l’effetto della stimolazione economica ed in questo intervallo l’impoverimento e la recessione potrebbero essere devastanti. Per ridurre tale rischio, la stimolazione dovrà essere fortissima e veloce, modificando sostanzialmente parecchie parti inefficienti del modello economico italiano. Ciò scatenerà forti dissensi perché richiede la piena liberalizzazione di tutto ciò che è liberalizzabile, tra cui il mercato del lavoro, una detassazione, anche se non immediata, sostanziale e credibile nel futuro, la fine dei mercati protetti e l’aumento della concorrenza. In sintesi, bisognerà far lavorare il libero mercato affinché produca opportunità che spostino il risparmio verso gli investimenti e poi, per effetto ottimismo, verso i consumi. Da un lato, l’economia italiana è ancora sufficiente forte, dotata di un substrato di risparmio tra i primi al mondo, per reagire bene ad una superstimolazione. Dall’altro, la quantità di interessi parassitari colpiti è così ampia da poter bloccare o indebolire di molto il processo politico di riforma. Proprio per questo motivo è stato imposto all’Italia di mettere in Costituzione, subito, l’obbligo al pareggio di bilancio. Ciò rende probabile il raggiungimento del rigore, ma non garantisce la spinta per lo sviluppo. Ecco perché c’è il rischio di un impatto impoverente. Può darsi, e lo spero, che la politica riesca ad evitarlo. Tra l’altro basta che tolga cose (tasse, apparati, regole, burocrazia) per ottenere più sviluppo. Ma, realisticamente, temo che non ci riesca. Per questo suggerisco di mettere nel paniere delle azioni anche quella, qui più volte invocata, di vendita del patrimonio pubblico per ridurre con il ricavato una parte del debito. Per esempio, un abbattimento di 200 miliardi darebbe un risparmio annuo di 10 sulla spesa per interessi, oltre a 4 di risparmio sul costo di rifinanziamento per maggiore credibilità dei titoli dopo tale operazione. Il patrimonio alienabile, con formule adeguate, è tra i 500 e 600 miliardi, volendo, e suggerisco alla politica di valutarne seriamente l’alienazione per alleggerire il suo compito altrimenti infattibile e per evitare un eccesso di impoverimento della nazione.

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