L’euro va buttato
giù di più per tirar su la crescita
Di Carlo Pelanda (14-6-2010)
Da mesi sostengo su
queste pagine che l’Eurozona e l’Italia potranno uscire dai guai solo
attraverso una svalutazione dell’euro che pompi l’export e renda più attraente
l’Europa sia per investimenti sia per il turismo extraeuropeo. I dati più
recenti mi confortano perché la ripresa in alcune aree europee, Italia in
particolare, sta accelerando proprio grazie alla svalutazione. Ora il punto è:
quanta e per quanto tempo sarà utile?
La domanda ha senso
perché la caduta dell’euro, finora, non è stata intenzionale, ma indotta da una
crisi di fiducia. Questa si è manifestata come minore disponibilità del mercato
a rifinanziare i debiti pubblici ed ha costretto le euronazioni
a varare piani d’emergenza per dimostrare al mercato che i debiti stessi non
cresceranno via taglio della spesa pubblica. Con una battuta amara si può dire
che questa è solo mezza soluzione che raddoppia, in realtà, il problema. Il
mercato non ha fiducia nell’euro in quanto moneta gestita senza politica
economica comune, per giunta “alla tedesca”, cosa che la rende insostenibile
per economie con base industriale meno forte, e minore produttività, della
Germania. Le economie più deboli dovrebbero svalutare per tornare in equilibrio,
ma ciò è impedito. E se non possono svalutare devono ridurre i valori di
qualcosa altro: salari, prezzi, spesa pubblica e tutele. In particolare, non
potendo rendere flessibile il cambio devono rendere flessibile il mercato del
lavoro. Questo è il problema della moneta unica in generale. La priorità
particolare di azzerare i deficit pubblici lo amplifica fino al punto di
chiedersi come le nazioni reggeranno la deflazione, cioè l’assenza di crescita.
E se lo chiede il mercato che, ovviamente, vuole ordine contabile, ma
soprattutto, crescita come garanzia che i debiti verranno ripagati. Per
ottenerla, la soluzione di liberalizzare i mercati interni richiede tempi
lunghi e resta solo quella di pompare la crescita via svalutazione competitiva.
Ne serve molta per bilanciare la doppia deflazione sistemica e contingente. Ma
la Bce non vorrà una svalutazione forte
e duratura per timore che importi inflazione. Non lo vorrà l’Amministrazione Obama che punta ad un dollaro svalutato a lungo per
riparare il motore americano della crescita. Non lo vorrà la Cina che cresce
principalmente grazie ad una supersvalutazione competitiva. Cina ed America
vogliono l’euro forte e che l’Eurozona paghi i costi del riaggiustamento
dell’economia globale. La Bce e la Germania che la influenza, in modo suicida,
accettano tale costo in cambio della bassa inflazione. Ma così l’Europa andrà
in deflazione catastrofica. Ciò è talmente chiaro che ritengo scontata una
posizione svalutativa della Bce e degli eurogoverni. Ma non sono certo che sia chiaro il quanto
sarà necessario. Si nota un tentativo di tenere l’euro attorno all’1,20 sul
dollaro per qualche mese, per poi farlo risalire. Se così, tale punto di
equilibrio potrà soddisfare America e Cina nonché l’ossessione anti-inflazione
della Bce e della Germania, ma non le condizioni per la crescita di tutte le
altre euronazioni, tra cui l’Italia il cui export è
più sensibile al cambio di quello tedesco. Secondo me serve una svalutazione
più forte, attorno a 0,80 euri per un dollaro, e che
duri almeno un biennio per dare una botta di crescita omogenea a tutta
l’Eurozona. Sarà dura farlo accettare al mondo ed alla Germania, sarà
pericoloso per l’inflazione, ma o
puntiamo a questa quota o rischiamo la
fine per insostenibilità dell’euro oppure reazioni violente all’impoverimento
di massa necessario per reggerlo.
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