L’Italia
cresce ma resta lenta
Di
Carlo Pelanda (19-2-2007)
Abbiamo
chiuso il 2006 con una crescita del Pil sul 2%, buon risultato. L’1,7 era stato raggiunto nei primi tre trimestri, nel
quarto l’incremento cumulativo è stato solo dello 0,3%. Ma a
fine anno è aumentata la produzione industriale, dato che fa prevedere
un buon risultato nel primo trimestre del 2007. E
dopo? Per rispondere dobbiamo capire quali volani stanno trainando l’economia.
La crescita
italiana del 2006, dopo quattro anni di stagnazione, è dovuta
principalmente alla ripresa della Germania a sua volta trainata dal boom
globale, accesosi nel 2003 dopo la contrazione 2001-2002, ed esploso a metà del
2004. Verso la fine del 2005 le imprese tedesche
trovarono più opportunità di mercato e tornarono a fare più ordini,
semplificando, ai fornitori italiani di componenti. A loro volta le imprese
italiane trovarono più domanda nel mondo e colsero l’opportunità. Un impulso
interno alla crescita italiana è stato dato sia dalla ripresa della Fiat (il cui indotto ha rilievo nelle statistiche
nazionali) sia dall’aumento dell’occupazione (la disoccupazione è diminuita al
7% dal 9 nel periodo 2001-2006) prodotto dalla legge Biagi e dagli incentivi ad
uscire dal nero, le seconde misure varate dal governo Berlusconi. Ma la capacità di autocrescita interna dell’Italia resta
poca a causa di un mercato ancora ingessato e delle troppe tasse e costi (energetici
quelli principali) che tolgono risorse ai consumi. Pertanto la nostra economia
va su e giù in relazione a quanto succede all’esterno,
in particolare in Germania. Come andrà la Germania nel 2007?
Benino perché le sue imprese sono ben organizzate per l’export e producono
grandi sistemi per cui c’è domanda nel globo. Inoltre
il governo Merkel sta aggredendo con decisione l’enorme disoccupazione tedesca,
che inizia a ridursi pur lentamente, e l’eccesso di costi statali, per esempio
l’avvio della riforma sanitaria. Ma non sembra che la capacità di autocrescita interna e quella di export possano aumentare
più che tanto. Anzi ci sono dei segnali di rallentamento possibile verso la
seconda metà dell’anno (auto, consumi interni, effetto penalizzante dell’euro
forte, ecc.) e ciò potrebbe contenere la crescita in Germania sul 2% e quindi
trainare un po’ meno che nel 2006 quella italiana. Ha
la nostra economia altri spazi di crescita? Quella interna
è penalizzata da costi energetici, fiscali e tariffari (nonché del credito)
crescenti o comunque troppo elevati. Le liberalizzazioni
attuate o in programma di settori economicamente marginali non sembrano
modificare lo scenario. Lo farebbero le liberalizzazioni e l’aumento della
concorrenza nei settori energetico, bancario, assicurativo, ecc., con conseguente riduzione di
quei costi, rilevantissimi, e liberazione di risorse per i consumi. Ma il governo mostra di voler liberalizzare solo settori
marginali senza toccare i veri grandi oligopoli o cartelli. La Finanziaria avrà un
impatto negativo sul Pil potenziale, per drenaggio, tra lo 0,3% e lo 0,5.
Mettendo insieme queste cifre e considerando un buon andamento degli altri
europei e la tenuta del boom globale, pur con una
leggera riduzione della domanda in America, oggi l’Italia può sperare
realisticamente di poter crescere alla fine dell’anno in corso sull’1,5%. E un
po’ più di quello che il governo aveva inizialmente stimato (1,3%), ma
parecchio meno delle cifre previste recentemente dalla Ue
(2%). Il punto: l’Italia resta molto frenata da
inefficienze interne irriformate, vagone e non locomotiva. E
qui siamo e restiamo dai primi anni ’90, lenti e non rock.
www.carlopelanda.com