La priorità dell’equilibrio di bilancio
Di Carlo Pelanda (22-5-2006)
L’Italia,
nel 1999,
ha ceduto la sovranità economica all’Unione europea.
Significa che Roma non ha più il potere di decidere il costo del denaro,
influenzare il valore di cambio della valuta e, soprattutto, determinare
liberamente la politica di bilancio. In queste condizioni, e sul piano delle
“politiche quadro”, la differenza tra destra e sinistra è irrilevante nel senso che un ministro dell’economia deve,
prima di tutto, rispondere ai requisiti di stabilità finanziaria imposti dai
trattati europei: mantenere il deficit annuo entro la soglia del 3% del Pil ed una tendenza alla riduzione del debito pubblico
storico (attorno al 106% del Pil). Il primo atto operativo del governo Prodi appena insediato, infatti,
dovrà necessariamente essere la definizione di una linea d’azione che assicuri
questi risultati. Vediamo come.
Prima di
tutto va notato che la sinistra ha dovuto/voluto mettere nella posizione di
regista dell’economia non un politico, ma un “tecnico” qualificato dal fatto di
garantire la
Banca centrale europea e Bruxelles prima degli interessi degli
elettori che reggono la maggioranza di governo. Questa è la fisionomia politica
di Padoa-Schioppa. Un ministro dell’economia francese,
tedesco, spagnolo, ecc. può essere benissimo un “politico” puro, principalmente
leale agli interessi nazionali. Come mai in Italia non possiamo permetterci tale
lusso? Per il semplice fatto che l’enormità del nostro debito
pubblico ha la capacità potenziale di destabilizzare l’euro. Quindi i difensori dell’eurosistema
devono essere sicuri di poter governare dall’esterno l’economia italiana per
tenerla in ordine. Nel 2001, quando si insediò il
governo Berlusconi, tale criterio non era ancora così
chiaro. Lo divenne più tardi e Tremonti dovette in
corso d’opera mostrare di aderire allo standard europeo. Cosa
che costò il parziale annullamento della politica di riduzione delle
tasse. Ora il criterio è più chiaro e Prodi ha
dato il segnale di averlo capito fin dall’inizio. Ma
riuscirà Padoa-Schioppa ad applicarlo? Il deficit
annuo proiettivo, calcolando una crescita del Pil
superiore all’1%, è vicino al 4%. Molto peggio sta il
debito cumulato che nel 2005
ha ripreso a crescere. Tradotto in cifre preliminari, il
nuovo governo dovrà probabilmente tagliare spesa o aumentare le entrate di circa
20 miliardi per riequlibrare i conti. Non è gran che
su un bilancio pubblico di quasi 600 miliardi, ma è tantissimo se deve essere
reperito in un solo anno. Quindi, probabilmente, Padoa-Schioppa chiederà all’Unione europea di rientrare nei
parametri in due o tre anni invece che subito, agenda
per altro già predisposta dal precedente governo. Ma
anche tale piano più rilassato avrà i suoi problemi in quanto la spesa pubblica
tende a crescere fuori controllo. Il governo precedente le aveva imposto il tetto del 2% di crescita annua. Ma questo limite è stato superato in quanto la spesa media
complessiva è salita del 3,4%. Il controllo sulla spesa non è stato perso a
livello di Stato centrale, ma a quello degli enti locali: più 5%. Quindi, per
applicare la
Maastricht interna, il governo dovrà stringere moltissimo le
viti sulla spesa di Regioni, Comuni, ecc. E su quella sanitaria, in pochi mesi
strabordata di ben 2,5 miliardi oltre quella
programmata. Tale stretta, pur non di grandi dimensioni, creerà seri problemi di
tensioni interne ad una sinistra che governa il 70% degli enti locali e la
maggioranza delle Regioni italiane. Ma dovrà essere fatta. Oppure dovranno essere alzate le tasse. Si teme che la
difficoltà della prima azione renda probabile la seconda.
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