In bilico tra Occidente ed Eurasia

Di Carlo Pelanda (13-3-2003)

 

Potrà la frattura che spacca l’Occidente frammentare L’Unione Europea? La prima parte della risposta riguarda il peso della questione irachena negli affari mondiali. Non è vero che la prima sia la causa scatenante delle divergenze nei secondi. E’, piuttosto, l’occasione che svela quanto la frattura sia già diventata profonda da tempo. Tra chi? Fra quelli che ritengono utile mantenere un forte sistema occidentale, centrato sugli Stati Uniti, capace di ordinare il pianeta e quelli che, invece, vogliono bilanciare il potere americano e limitarlo per aumentare il proprio (ordine multilaterale fatto di blocchi continentali). Tale problema ci tocca da vicino perché la linea di confine tra i due schieramenti attraversa l’Europa. Da una parte c’è la Francia che punta ad un’alleanza eurasiatica con Russia e Cina ed i Paesi islamici. Dall’altra ci sono il Regno Unito, l’Italia, la Spagna, la Danimarca, l’Olanda, ecc., nonché tutti i Paesi europei orientali, che puntano, invece, a rafforzare l’asse atlantico e l’idea di un nucleo occidentale che governi il mondo. E la Germania? Si è collocata in una situazione di attesa: si oppone all’intervento armato in Irak, ma ci tiene a migliorare i rapporti con gli Usa sia dando tutto l’aiuto logistico possibile, anche sottobanco, al loro sforzo militare sia allentando l’asse con Parigi. Segno che Berlino resta aperta ad ambedue le opzioni, euroccidentale o eurasiatica, senza sbilanciarsi troppo, per il momento.

Perché la frattura esisteva già prima? La Francia tiene da sempre una politica di competizione globale con il mondo anglofono. Dopo il 1963, con la salita al potere di De Gaulle, Parigi individuò la formazione di un’Europa unita come strumento per dare più scala a questa sua ambizione. Durante la Guerra fredda, tuttavia, gli europei occidentali avevano bisogno dell’ombrello americano come garanzia antisovietica e la divergenza francese restava nei limiti di non rottura. Finita questa minaccia il gollista Chirac non sente più i limiti che frenarono il suo maestro.

Perché la questione irachena è diventata l’occasione per fare un braccio di ferro con gli americani? La Francia ha l’interesse che resti Saddam o che dopo di lui si formi un governo sul quale Parigi possa avere comunque influenza come la ha ora sul dittatore (che regalato all’azienda petrolifera francese enormi giacimenti petroliferi). Chi controlla l’Irak può orientare la grande geopolitica del petrolio e la politica mediorientale. Quindi Parigi sta difendendo un proprio interesse che l’invasione americana sicuramente farebbe cessare. E lo sta facendo con particolare baldanza perché si è accorta che c’è una rara convergenza di interessi con Russia e Cina, oltre al sostegno pur non attivo della Germania. Mosca ha simili interessi in Irak. In più Putin è messo sotto pressione dalle élite russe che lo accusano di essere troppo sottomesso agli americani. Inoltre è interesse di Mosca capeggiare la politica asiatica per usarla come strumento di contenimento – in alleanza con l’India ed in contrasto con il Pakistan, con l’ambizione di influenzare l’Iran - della Cina emergente. Questa vuole mantenere un buon rapporto con l’America per i suoi interessi economici, ma cominciando a limare il potere Usa nel Pacifico per prenderne pian pianino il posto: se qualcuno comincia a mettere in difficoltà gli Usa non le dispiace e aiuta un po’, salvo rientrare nella neutralità se le cose si fanno calde. Soprattutto, i Paesi citati hanno reagito al tentativo americano di forzare l’Onu in modi che toglierebbero peso al loro diritto di veto: quando Bush disse che o l’Onu diventava una cosa seria o spariva. Ed hanno trovato l’interesse comune ad usare l’Onu, invece, come strumento di limitazione degli Usa che dimostra di poterlo fare. In particolare, l’occasione è stata arricchita dalla mobilitazione dei pacifisti in Occidente che hanno favorito tale gioco di bilanciamento travestendolo con una bandiera morale.

Come reagiranno gli Usa a questo tentativo di bilanciare il loro potere e condizionare i loro criteri di sicurezza e ordine mondiale? Hanno un’unica alternativa: mostrare tutta la loro forza. Vincere in Irak, usare tale vittoria per chiudere la questione palestinese e per reinquadrare i regimi arabi-islamici sotto la loro leadership. Oltre a far pagare qualche prezzo a chi li ha più ostacolati (motivo per cui la Germania si è messa a basso profilo). E continuare la bonifica dei regimi ostili nel resto del mondo. In sintesi, il tentativo di bilanciamento eurasiatico costringerà gli Usa a dimostrare con molta più pesantezza il loro potere. Anche perché molti altri Paesi stanno a guardare per vedere se l’America ce la farà o meno, pronti a saltare sui carri giusti di conseguenza. Quindi è impensabile che l’America torni indietro perché la partita riguarda la leadership mondiale e chi decide il tipo di ordine. Sulla base di tali analisi lo scenario, per gli aspetti che ci riguardano, è il seguente. Se l’America riuscirà a fare veramente quanto detto, allora L’Europa non sarà divisa perché la Germania si adatterà e la Francia cercherà di non restare isolata. E proseguirà la sua strada di integrazione debole, ma utile, entro una Pax globale americana rafforzata. I problemi maggiori, invece, vi saranno se l’America incontrerà qualche incidente di percorso. L’idea di approfittare della sua debolezza scatenerà il fronte eurasiatico contro quello atlantico ed il continente si spaccherà irreparabilmente.

www.carlopelanda.com